I reati finalizzati a sanzionare le attività tipiche di riciclaggio sono previste dagli articoli648-bis e 648ter, nonché dall’articolo 648 ter i del Codice penale. La prima fattispecie è denominata “riciclaggio” e punisce chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa. La pena “base” prevista è quella della reclusione da 4 a 12 anni, oltre alla multa da 1.032 a 15.493 euro. La norma prescrive poi che la pena sia da un lato aumentata quando il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale, dall’altro diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è prevista la pena della reclusione inferiore nel massimo a 5 anni. Il secondo reato invece è rubricato “Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita” e si configura quando chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dalle ipotesi di ricettazione e di riciclaggio, impiega denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, in attività economiche o finanziarie. La nozione di queste ultime fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate dagli articoli 2082, 2135 e 2195 del codice civile (Cassazione 3018/2018). Anche in tal caso è stabilita una pena “base”, con reclusione da 4 a 12 anni oltre alla multa da 1.032 a 15.493 euro, con aumento e diminuzione della stessa nelle medesime ipotesi suindicate previste per il riciclaggio. Entrambe le fattispecie criminose sono reati comuni, il cui elemento soggettivo è costituito dal dolo generico e non possono essere commessi tramite omissione. Due sono le circostanze che devono ricorrere affinchè si possa parlare ai fini penali di riciclaggio o di impiego di denaro proveniente da attività illecite. In primo luogo occorre che chi compie la condotta tipica non deve essere colui che ha commesso (o ha concorso a commettere) anche il reato principale (cosiddetto reato fonte) da cui le somme o i beni provengono. Inoltre il soggetto agente deve essere a conoscenza della provenienza delittuosa delle somme o dei beni che ha trasferito, impiegato, sostituito, e così via. Da evidenziare che non è necessario che il delitto presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, maè sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso e che il giudice procedente per il reato di riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza, senza che sia richiesta nemmeno l’esatta individuazione del delitto presupposto, purché lo stesso risulti almeno astrattamente configurabile (Cassazione 25523 del 6 giugno 2018). L’articolo 648-ter è una norma di “chiusura” del sistema, tanto che ha carattere sussidiario rispetto al reato di riciclaggio (e ricettazione). La distinzione tra le due fattispecie analizzate sta nel fatto che il reato di cui al 648-ter si configura quando si è in presenza di una serie di condotte realizzate in un contesto univoco sin dall’inizio finalizzato all’impiego di beni o denaro di provenienza illecita, mentre il riciclaggio presuppone condotte distinte. Dunque risponde solo di riciclaggio colui che, successivamente, con determinazione autonoma abbia poi impiegato ciò che era frutto già di tale delitto addebitato, mentre secondo l’articolo 648-ter sono, invece, punibili i soggetti che, con unicità di determinazione teleologia originaria, hanno sostituito (o ricevuto) denaro per impiegarlo in attività economiche o finanziarie. Il discrimine passa, dunque, attraverso il criterio della pluralità ovvero della unicità di azioni e delle determinazioni volitive ad esse sottese (Cassazione 30429/16,16432/13,4800/10).