Così cresce la solitudine dei commercialisti, la metà di loro non ha collaboratori

Aumentano gli studi individuali, mentre gli studi associati o condivisi mostrano un lieve calo o comunque non crescono. E questo il dato più sorprendente che emerge dall’indagine statistica realizzata dalla Fondazione nazionale dei commercialisti presentata a Milano nel corso della prima giornata del Forum nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili, organizzato da ItaliaOggi insieme al Consiglio nazionale, alle due casse di previdenza e all’ordine di Milano. La riduzione degli studi associati (passati dal 24 al 20%) e degli studi condivisi (dal 19 al 13%), rispetto all’ultima indagine strutturale realizzata dalla stessa Fondazione nel 2012, è tanto più sorprendente se si considera che negli ultimi anni notevoli sono stati gli sforzi, sia dal punto di vista legislativo che regolamentare, per incentivare lo sviluppo delle forme aggregative nell’esercizio della professione. Tra l’altro sono state sperimentate le prime Stp (società tra professionisti), che si sono ritagliate una fetta pari al 2,2% dell’attività professionale. Ma nel complesso, come si è detto, a farla da padrone è sempre di più lo studio individuale che sale dal 53 al 61%. Evidentemente, la gestione dell’attività in forma associata è, nella pratica, più problematica di quanto si potrebbe supporre, tanto che non sono mancati i casi di esperienze aggregative avviate e poi abortite dopo qualche tempo. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: una delle cause che potrebbe spiegare la persistente tendenza dei commercialisti e delle professioni economiche in genere, a privilegiare la gestione individuale è da ricercare negli sviluppi delle tecnologie informatiche, che hanno reso possibili forme di collaborazione più flessibili, meno impegnative, meno vincolanti. Le tecnologie informatiche, insieme alla crisi economica, potrebbero essere la spiegazione anche dell’altro dato che emerge dalla ricerca, la forte crescita degli studi con un solo addetto, quasi raddoppiati negli ultimi sei anni (dal 18 al 30%). Infatti la maggioranza degli studi (61%) ha un solo titolare, il 53% non ha collaboratori e i141% non ha dipendenti. Insomma, se la crescente velocità dei cambiamenti sociali, tecnologici, culturali, sta creando una società sempre più liquida, che rifugge da impegni a tempo indeterminato, anche nel mondo delle professioni sembrano trovare gradimento collaborazioni su temi specifici e con modalità non vincolanti, invece di impegni destinati a durare tutta una vita. Sembra vincente un approccio light alle economie di scala. Altro dato interessante, la crescita della specializzazione. Rispetto a una ricerca parziale effettuata dalla stessa Fondazione nel 2017, gli studi iper-specializzati, cioè quelli che fatturano meno del 20% in attività di base, sono cresciuti addirittura del 4%. Viceversa, in un solo anno sono calati del 5% gli studi a-specializzati, cioè quelli che fatturano più dell’ 80% in attività di base. A conferma di questo dato sulla forte tendenza verso la specializzazione sta il fatto che, a parte l’area contabilità e bilancio, frequentata da quasi il 90% dei commercialisti, e le aree di consulenza e pianificazione fiscale e revisione legale, che sono praticate da poco più della metà di coloro che hanno risposto ai questionari, tutte le altre aree (in ordine decrescente: valutazioni d’azienda, contenzioso tributario, finanza aziendale, crisi d’impresa, no profit ecc.) sono praticate da percentuali modeste di professionisti. Non è quindi vero, come si sente dire spesso, che «tutti fanno tutto». Interessanti anche i dati relativi al fatturato. Se quasi il 40% dei professionisti dichiara un giro d’affari tra i 100 mila e i 500 mila euro l’anno, più della metà di queste entrate derivano da servizi dall’attività che si pub definire tradizionale (cioè servizi contabili e fiscali forniti alla clientela stabile per l’assistenza e la consulenza continuativa). Più in dettaglio queste attività contribuiscono dal 40 al 60% delle entrate per il 18% degli studi, dal 60 all’80% per il 28% degli studi e addirittura dall’80 al 99% per il 21% degli studi.

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