Le donne in media versano 25 anni e mezzo di contributi previdenziali durante la vita lavorativa nel settore privato. Gli uomini 38. Va gender gap – l’ennesimo divario – che da solo spiega perché le grandi escluse da Quota 100 (almeno 62 anni e 38 di contributi per anticipare la pensione) sono proprio le donne. Carriere discontinue, precarie, interrotte dalla maternità o dai lavori di cura dei famigliari. E poi pensioni più povere. Come se non bastasse, l’Opzione donna – rinnovata da questo governo – le colpisce due volte. Possono sì lasciare il lavoro prima: le dipendenti nate entro il 31 dicembre 1960, le autonome nate entro il 31 dicembre 1959. Quindi fino a 59 o 60 anni di età . Ma con 35 anni di contributi maturati entro fine 2018, comunque superiori alla media. E il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno. Significa: ridotto di un quarto (20-25%). Neanche le pensioni d’oro subiscono una penalizzazione simile. Va meglio di certo alle statali. Prima del 1986 si entrava giovani nella pubblica amministrazione. Per concorso e col vincolo dell’età , sotto i 36 anni. Molte donne hanno avuto così carriere serene e continue nello Stato. Per loro Quota 100 non è un tabù. Come non lo è per i lavoratori del Nord, specie quelli della grande industria. Discorso diverso per chi vive al Sud, donne o uomini che siano. Part-time e saltuarietà minano il futuro previdenziale di molti. Come pure quello di edili, artigiani, dipendenti di micro-imprese che pur lavorando nel Settentrione produttivo, hanno collezionato nero e buchi nei versamenti. Quota 100 non è un banchetto per tutti. Sebbene la platea impressiona: 315 mila potenziali quotisti nel 2019 di cui 120 mila statali. Come la spesa pubblica stanziata: 21 miliardi in tre anni, la durata della misura sperimentale. Eppure anche qui non mancheranno gli “ingabbiati”. Non saranno tecnicamente esodati, senza lavoro ne pensione – come fu per effetto della riforma Fornero che, nonostante i proclami, rimane viva e vegeta – ma intrappolati sì. Pensiamo a chi ha combinazioni di età anagrafica e contributiva fuori dai parametri normativi gialloverdi. Tutti quelli privi dei 38 anni di contributi, ad esempio. Pur essendo over 62, ma lontani dall’età per la vecchiaia che rimane quella fissata dalla Fornero: 67 anni. E distanti anche dall’altro requisito, quello per la pensione anticipata, bloccato dal decreto a 42 anni e 10 mesi anziché 43 anni e 3 mesi, traguardo ottenuto applicando la speranza di vita. Uno sconto di 5 mesi che in realtà diventano 2, visto che il governo ci applica una finestra di 3 mesi (quando si raggiungono i 42 anni e 10 mesi bisogna aspettarne altri 3 per andare in pensione). Ecco, gli ingabbiati sono fuori da Quota 100. E pure dalla Fornero. Dovranno lavorare e aspettare. Le donne di più.