Il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo in seduta plenaria ha approvato la nuova direttiva sul copyright. 348 i voti favorevoli, 275 i contrari e 36 gli astenuti. È una vittoria per l’editoria europea e per i professionisti (giornalisti, fotografi, videomaker) e una sconfitta per le grandi piattaforme (Facebook e Google) e per Wikipedia che le ha sostenute a spada tratta. Ora si dovranno trovare gli accordi economici tra i produttori di notizie e chi le distribuisce sujl web e, finora, lo ha fatto senza quasi sborsare un euro. “L’Europarlamento difende la creatività e i posti di lavoro europei”, ha commentato su Twitter il presidente Antonio Tajani. Approvata la direttiva #copyright. Difendiamo la creatività italiana ed europea e i posti di lavoro. #CopyrightDirective #direttivacopyright#dirittodautore — Antonio Tajani (@Antonio_Tajani) March 26, 2019 “Una vittoria della #cultura e del #giornalismo #europeo, contro le #intimidazioni e #fake news dei #Giganti della #rete che sfruttano il lavoro di altri senza remunerarlo e su cui raccolgono l’80% della #pubblicità ” ha commentato l’on. Silvia Costa (S&D), che in questi anni ha lottato con forza e determinazione per raggiungere l’obiettivo che, oggi si è concretizzato. Il testo del provvedimento è quello uscito dalla trattativa con il Consiglio Ue dopo la prima approvazione dello scorso settembre. La riforma del copyright ha al centro l’obbligo per le grandi piattaforme “distributrici” di contenuti di mettersi d’accordo con gli editori (o i giornalisti free lance, i fotografi e i videomaker, cioé chi i contenuti li produce) per stabilire un compenso sui materiali che, oggi, vengono utilizzati da Google e Facebook praticamente senza remunerazione. Il provvedimento prevede (art. 11) anche che un editore possa decidere di non mettere a disposizione i suoi contenuti (neanche dietro compenso) e, in questo caso, le piattaforme dovranno vigilare (come, per altro, fa già Youtube con i video) che non ci sia un copyright e, quindi, eventualmente segnalare o bloccarne la diffusione. Anche l’articolo 13 (che obbliga le grandi piattaforme a installare sistemi di controllo per bloccare la condivisione di materiali coperti da copyright) ha ricevuto diverse critiche. La norma, comunque, prevede l’esclusione dagli obblighi della legge sia gli organismi come Wikipedia (che diffondono senza scopo di lucro) sia le start up e le piccole imprese. Il punto che ha suscitato le maggiori proteste è il timore che gli utenti finali non possano più condividere i materiali informativi e scambiarli con i loro amici online proprio perché le grandi piattaforme, per paura di essere costrette a pagare, finiranno per applicare politiche tecnicamente molto restrittive. I sostenitori della lege rispondono che non è così e che gli utenti finali sono salvaguardati. Anche perché gli editori avranno tutta la convenienza a far diffondere le loro notizie ottenendo in cambio interessanti revenue e che, già adesso, i contenuti premium (a pagamento, vedi partite di calcio o testi di particolare interesse) hanno limiti di diffusione.