Salvini trionfa e detta la legge al governo: flat tax, Tav, autonomie

Ci sono situazioni in cui parlano le facce, senza bisogno che a corredo ci siano chiacchiere, proiezioni, exit poll. Quella abbronzata e palesemente goduta di Matteo Salvini è l’istantanea della felicità e dell’orgoglio, anche di una certa inclinazione al ‘one man show’; quella palesemente tesa di Luigi Di Maio è lo specchio di un disagio quasi incontenibile per un tracollo elettorale non proprio annunciato e rumorosissimo.

Facce all’indomani delle elezioni che in Italia non hanno avuto quasi nulla di europeo perché sono state praticamente un suffragio a uso interno. Dovevano essere un referendum, nell’immaginario di Salvini, e a conti fatti lo sono state. La Lega ha doppiato il Movimento 5 Stelle, siamo al 34 contro 17: un anno fa era l’esatto contrario, 32 a 17. L’ingorgo delle spiegazioni politologiche sul perché e sul percome tutto questo sia successo interessa, ma fino ad un certo punto. Conta di più quanto sia cambiato il rapporto di forza tra i due alleati di governo, quanto possa cambiare a stretto giro di posta e che predisposizione al sacrificio avrà Di Maio. Tanto per capire, Salvini ha chiamato Conte per ribadirgli la sua fiducia e ha confezionato dichiarazioni rassicuranti sull’esecutivo, però ha subito tracciato la sua road map: flat tax e Tav, oltre all’autonomia. E stavolta senza sottostare al giogo della merce di scambio con salario minimo e provvedimenti per le famiglie.

Di Maio ha precisato che, malgrado la sconfitta, nessuno ha chiesto la sua testa tra i ‘mammasantissima’ del Movimento (intanto però un giro di telefonate le ha fatte per fiutare l’aria), in compenso lui ha chiesto al premier di convocare un vertice di governo, giusto per capire se le dichiarazioni di Salvini sono plastificate e a uso dei media oppure sono veritiere. Non sarà una resa dei conti ma una conta molto schietta delle valenze interne. Al tavolo del Cdm Di Maio si accomoderà con un filo di imbarazzo perché anche i sassi hanno capito che ora comanda la Lega, ‘sfregiata’ dal caso Siri e non più disposta ad accettare altri dinieghi, determinata a portare avanti la sua linea programmatica. Insomma, o così o così.

Nessuno minaccia di andare al voto, al massimo lo sperano – per ragioni diverse – Zingaretti e Meloni: il primo vuole sparigliare le carte ‘gasato’ dal 23% e dall’esito delle elezioni nelle grandi città (Roma, Milano, Torino, Firenze, Bologna), la seconda desidera accoccolarsi al governo con il centrodestra. Ma solo un folle vorrebbe ‘strappare’ adesso, anche solo per cambiare esecutivo, a pochi giorni dalla lettera della Ue e a pochi mesi dalla manovra. Salvini è tutto, fuorché folle.

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