Cresce in Italia il lavoro a tempo indeterminato

Emerge dai dati Istat di maggio 2019 un incremento di 92mila posti di lavoro a tempo indeterminato rispetto allo stesso periodo del 2018. Una vera e propria boccata d’ossigeno che induce a un cauto ottimismo sulla ripresa dell’occupazione in Italia. E’ bene ricordare che il nostro Paese registra uno dei più alti tassi di disoccupazione in Europa con punte preoccupanti nelle regioni meridionali e, al tempo stesso, si trova al di sotto della media UE per quanto attiene la retribuzione oraria lorda (19,92 euro) contro  quella registrata in Danimarca (35,93) e Lussemburgo (33,85) . Sempre il Rapporto indica che in Italia i contributi sociali incidono per il 27,3% sul costo del lavoro in senso ampio, in particolare, il peso percentuale delle singole componenti è del 20,9% per i contributi sociali obbligatori per legge, dello 0,4% per quelli volontari e contrattuali e del 3,6% per il trattamento di fine rapporto.

Le spese per la formazione rappresentano soltanto lo 0,2% del costo del lavoro in senso ampio. La retribuzione lorda per ora lavorata è pari a 20,19 euro, con una differenza di oltre sette euro tra le unità economiche con 1.000 e più dipendenti e quelle di piccole dimensioni (10-49 dipendenti).

La retribuzione per ora lavorata è superiore alla media nazionale nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente +4,5% e +2,1%) mentre nel Nord-est, nel Sud e nelle Isole i valori sono inferiori (-3,3%, -6,1% e -2,8%). Le ore annue lavorate per dipendente sono in media 1.498 e rappresentano l’84% di quelle retribuite (1.784). Le ore lavorate per dipendente a tempo parziale, pari in media a 1.003, rappresentano il 62,5% di quelle per dipendente a tempo pieno (pari a 1.604). Una situazione complessiva che è valsa un richiamo ufficiale della Commissione europea che ha cntestato al nostro Paese anche i passi indietro per quanto riguarda alcuni elementi delle passate riforme del sistema pensionistico, peggiorando la sostenibilità delle finanze pubbliche a medio termine, e siano destinati a incrementare ulteriormente la spesa pensionistica nel medio termine.

Con l’introduzione del Decreto Dignità lo scatto in avanti dell’occupazione a tempo indeterminato ha fatto dunque segnare un’importante inversione di tendenza. Una parte delle imprese ha deciso di stabilizzare i lavoratori a termine sfruttando gli incentivi (227 ml unità secondo l’analisi del bollettino richiamato). Tuttavia c’è il serio rischio che con l’esaurirsi degli incentivi, le dinamiche tornino nella normalità, come accadde con il Job’s act nel 2015. Ancora l’Istat offre un’analisi di questi dati che sottolinea come la trasformazione dell’occupazione sia il riflesso della ricomposizione avvenuta nei settori e nelle professioni, che vede ridursi il peso dei comparti a maggiore intensità di lavoro a tempo pieno e aumentare quello dei settori e delle professioni a più alta concentrazione di lavoro a orario ridotto. Per quanto riguarda i settori, si tratta di quelli della sanità, dei servizi alle imprese, degli alberghi e ristorazione e dei servizi alle famiglie; per le professioni, quelle addette al commercio e ai servizi e quelle non qualificate. Contrariamente a quanto si pensa, non esiste una relazione diretta tra il tasso di mobilità dei lavoratori e il numero dei contratti a termine, nel senso che tale mobilità, che coinvolge mediamente circa un terzo dei lavoratori occupati, riguarda persone con diverse tipologie di contratti. Tutto questo dovrebbe far rileggere in un’altra ottica il tema della stabilizzazione, soprattutto nei comparti dei servizi, in molti dei quali il tasso di mobilità annuo riguarda il 40% degli occupati.

Andrea Vetromile

Reviews

Related Articles