Toni duri, durissimi. Luigi Di Maio esce dalla Sala dei Busti dove ha parlato con il premier incaricato Giuseppe Conte, e lancia subito l’ultimatum, con 20 punti definiti “imprescindibili”. Quindi “se verranno accolti bene, altrimenti meglio andare al voto, e il più presto possibile”. Non solo. A stretto giro arriva la conferma che il M5S consulteràla base degli iscritti sulla piattaforma Rousseau, che “non è un vezzo”, ma “parte integrante dei nostri processi decisionali”, si spiega sul Blog delle Stelle.
Il voto su Rousseau viene normalmente annunciato con 24 ore di anticipo, quindi potrebbe cadere di domenica. O forse anche più in là, perché Conte sarebbe intenzionato a continuare a lavorare sul programma per diversi giorni, in modo da tornare al Colle con un quadro più chiaro all’inizio della prossima settimana. Nel frattempo, però, Di Maio sembra mettersi di traverso, alzando la posta, e scatenando la reazione irritata del Pd, con il segretario Nicola Zingaretti che decide di annullare un faccia a faccia proprio con il vicepremier uscente.
Saràperché vuole mantenere questo incarico? Di Maio vuole probabilmente restare un gradino appena sotto a Conte, alla pari con vicepremier del Pd (se ci sarà). Lui non lo dice mai apertamente, e anzi liquida le voci sugli incarichi come un dibattito surreale. Epperò inizia il suo discorso facendo gli auguri a Giuseppe Conte, sottolineando che è figura “super partes” (e quindi, è il ragionamento implicito, lui deve rimanere dov’è a difendere le prioritàdel Movimento).
Nel suo discorso, poi, Di Maio fa sapere di aver consegnato allo stesso Conte una lista di 20 priorità, che allarga un precedente elenco che conteneva 10 punti. Ci sono il taglio dei parlamentari e i temi ambientali, su cui certamente si può dialogare con i dem, ma viene chiesto anche l’ok al decreto per la revoca delle concessioni di autostrade e, soprattutto, di lasciare intatti i decreti sicurezza, modificando soltanto i testi come è stato richiesto dal Quirinale.
Le sue parole, che molti anche all’interno del Movimento ritengono rivolte verso elettori e truppe deluse e in affanno, fanno scoppiare un pomeriggio di recriminazioni con i dem. E naturalmente, come avveniva anche nel governo giallo-verde, il premier si incarica di smussare gli angoli, in un incontro con una delegazione del Pd giàin agenda da tempo.
Lo stesso vicepremier, nello scambio infuocato di tweet, cerca di chiarire: “Non è questione di ultimatum”, ma “il M5S non svende i suoi principi e i suoi valori su ambiente, lavoro, imprese , famiglie: qui serve concretezza”. E quindi i 20 punti “vogliamo che entrino nel programma di Governo”. In serata, a gettare acqua sul fuoco, arrivano i capigruppo pentastellati a Camera e Senato. “Non è un problema di toni, ma di temi“, spiega il deputato Francesco D’Uva.