Reati d’odio, Cartabia: repressione non basta, bisogna educare

Poche denunce e poche condanne alla fine dei processi
Roma, 8 feb. (askanews) – “Contro i discorsi d’odio non si può puntare solo sulla repressione, ma bisogna anche “educare, prevenire e riparare”. Lo ha detto la ministra della Giustizia Marta Cartabia nel corso di una audizione della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza. L’ordinamento italiano – ha osservato la ministra – prevede due principali disposizioni penali: l’art. 604 bis, che punisce la propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa e l’art. 604 ter che configura una aggravante, quando un reato è determinato da finalità di discriminazione o odio razziale, etnico, nazionale, religioso. “L’introduzione di queste fattispecie penali però – come non di rado succede – non assolve in pieno all’auspicata funzione di deterrenza. E’ la realtà a dirlo, con l’aumento esponenziale dei discorsi d’odio, a fronte invece di un esiguo numero di procedimenti giudiziari”, ha aggiunto la ministra che ha citato alcuni dati a supporto. Tra il 2016 e il primo semestre 2021, i procedimenti iscritti non superano le 300 unità tanto nella forma di propaganda e istigazione, quanto in quella dell’aggravante. Le iscrizioni sono concentrate in pochi distretti, soprattutto del nord Italia. E le percentuali maggiori si registrano nelle grandi di città di Roma (12,62% al primo semestre del 2021) e Milano (4,85%). Se si guardano i flussi dei definiti dalle sezioni GIP/GUP e dibattimentali si evidenzia ch nell’80% dei casi l’iscrizione è definita per archiviazione; nei pochi casi di rinvio a giudizio prevale la condanna (circa il 40%); il resto si divide tra assoluzioni e non doversi a procedere. La maggior parte dei procedimenti per altri reati aggravati dal 604 ter cp si risolve con l’inizio dell’azione penale, ma appena la metà di questi si conclude con una condanna aggravata. “Sono numeri davvero esigui – ha sottolineato la ministra – che suggeriscono due riflessioni: la prima è che il livello di denunce è davvero molto basso. In secondo luogo, guardando agli esiti dei procedimenti, è significativo rilevare che i casi di archiviazione costituiscono la maggior parte. Questo evidenzia quanto sia difficile per il giudice stabilire che una data espressione configura tra propaganda/istigazione all’odio e ravvisare un nesso di causalità tra la parola e la commissione di atti di discriminazione o violenti”. “Questi dati confermano che il diritto penale serve, perché stigmatizza determinati comportamenti, ma non basta. Per contenere questo tipo di fenomeni, oltre al diritto penale serve educare, prevenire, riparare. E anche la giustizia penale – ha proseguito la Guardiasigilli – può dare un contributo innovativo, più incisivo, più costruttivo della semplice repressione detentiva”.

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