E’ dai tempi di Trichet che non viene deciso un aumento
Roma, 8 giu. (askanews) – Sono quasi 11 anni che dalla Bce non viene lanciato il segnale che prepara i mercati a un rialzo dei tassi di interesse nella successiva riunione del direttorio: “strong vigilance” (forte vigilanza). Ora sembra essere arrivato il momento. Sebbene la ripresa economica continui a perdere colpi – oggi l’ultimo segnale è arrivato dalle previsioni dell’Ocse, che stima un rallentamento del crescita al 2,6% quest’anno e all’1,6% il prossimo – all’istituzione di Francoforte il problema numero uno è e resta la galoppante inflazione. Con un nuovo record all’8,1% annuo, a maggio, il caro vita è ormai al quadruplo del livello obiettivo perseguito dalla politica monetaria: 2%. Quindi, con ogni probabilitĂ , dalla riunione del Consiglio direttivo che si svolgerĂ tra stasera, con una cena informale, e domani mattina, sono attesi annunci che ribadiranno la risolutezza nel voler riportare l’inflazione sotto controllo. Le decisioni del Consiglio verranno comunicate alle 13 e 45 italiane di domani. Alle 14 e 30 la presidente Christine Lagarde terrĂ la consueta conferenza stampa esplicativa. La riunione si svolgerĂ in trasferta in Olanda, nell’ambito delle rotazioni che circa ogni sei mesi vedono il Consiglio riunirsi nei paesi dell’area euro. Sempre domani la Bce pubblicherĂ anche le sue previsioni aggiornate su crescita economica e inflazione. E proprio queste nuove previsioni saranno la base su cui verranno assunte le decisioni. Ad oggi la tabella di marcia che la Bce ha delineato per uscire dalla politica monetaria ultra accomodante prevede di mettere fine agli acquisti netti di titoli con il rimanente programma App all’inizio del terzo trimestre, che con ogni probabilitĂ significa fermarli entro fine giugno. Successivamente la Bce potrĂ procedere ad un primo rialzo dei tassi, che ad oggi era atteso al Consiglio del 21 luglio. Lagarde ha piĂą di recente affermato che si punta a mettere fine ai tassi negativi entro il terzo trimestre. Dando per scontato che si riferisse ai tassi sui depositi (che le banche commerciali parcheggiano presso la Bce, che sono al meno 0,50%), significherebbe due rialzi da 25 punti base a luglio e settembre. Alcuni analisti ipotizzano un ulteriore aumento da 0,25 punti prima di fine anno. Ma questo sul presupposto che nei mesi a venire e nel prossimo anno l’inflazione si moderi. Invece ad oggi l’inflazione continua a salire, a riflesso di una molteplicitĂ di fattori, tra cui i problemi nelle catene di approvvigionamento globali, a cui hanno contribuito anche gli stimoli all’economia negli Usa, la guerra in Ucraina e le sanzioni contro la Russia, che riguardano sempre piĂą anche le importazioni di prodotti energetici da Mosca. Nell’area euro i rincari sull’energia sono tornati a sfiorare il piĂą 40%. Oggi nel suo Economic Outlook, l’Ocse stima una inflazione al 7% quest’anno e al 4,6% il prossimo, ben sopra quindi il target Bce. Lo scorso marzo la Bce indicava 5,1% sul 2022, 2,1% nel 2023 e 1,9% nel 2024. E’ quantomai probabile che vengano riviste al rialzo, mentre l’opposto dovrebbe accadere alle stime di crescita: 3,7% nel 2021, 2,8% nel 2023 e 1,6% nel 2024. Tutto questo mette la Bce in una posizione sempre piĂą scomoda. La tabella di marcia indicata appare infatti in qualche modo una risposta lenta, rispetto a quelle che altre banche centrali hanno giĂ messo in campo, in particolare la Federal Reserve americana. Va però fatto notare che il quadro dell’eurozona è diverso rispetto a quello degli Stati Uniti, l’inflazione in ampia parte dovuta a uno shock esterno dal lato dell’offerta, laddove negli Usa vi è una forte dinamica salariale che contribuisce ad alimentare il carovita. Alcuni analisti lasciano aperta la possibilitĂ di un aumento ei tassi da 50 punti base, se non a luglio magari a settembre. Ma la Bce ha detto varie volte di volersi muovere in modo graduale e intervenire molto energicamente oggi sul versante monetario rischierebbe di fare ben poco sulle cause dell’alta inflazione, ma al tempo stesso potrebbe soffocare ulteriormente una ripresa economica giĂ precaria. Per questo è quanto mai probabile che il Consiglio di questa settimana risulti molto dibattuto e impegnativo. La comunicazione della Bce ha subito molti ritocchi dai temi dell’ultimo aumento sul costo del danaro, che risale “all’era” Trichet. In particolare il comunicato post Consiglio sulle decisioni di politica monetaria, anni or sono era estremanente sintetico, adesso è molto lungo e articolato. Non è da escludere, quindi, che vi sia una esplicita indicazione sul rialzo dei tassi giĂ in questo documento, prima ancora che Lagarde tenga la conferenza stampa. Parallelamente alle misure anti inflazionistiche c’è anche il tema degli aumenti dei tassi sui titoli di Stato e soprattutto dell’ampliamento dei differenziali tra paesi, i famigerati “spread”. L’ultima cosa che la Bce vuole vedersi ripetere è il disastro che si verificò successivamente all’ultimo rialzo dei tassi che ha operato nel luglio 2011, in risposta pure allora a pressioni inflazionistiche dovute a energia e petrolio. Il giugno precedente l’allora presidente Jean-Claude Trichet pronunciò la frase chiave (strong vigilance is warranted). Mentre per tutta la presidenza di mario Draghi non sono stati decisi aumenti dei tassi. Complici anche le spinte intransigenti al risanamento dei conti da parte dell’allora Commissione europea, il quadro degenerò rapidamente in una crisi di dei debiti pubblici e delle banche dell’area, che vide i differenziali esplodere a livelli fuori controllo, compromettendo gravemente per molti anni successivi la crescita economica. Su questo, a piĂą riprese, sia Lagarde, sia esponenti anche piĂą piĂą intransigenti del Consiglio, hanno avvertito che la Bce non intende tollerare ampliamenti degli spread che dovessero inficiare la trasmissione della politica monetaria. Non è chiaro se questo significherĂ la creazione di un nuovo strumento ad hoc o se basterĂ l’uso strategico della flessibilitĂ sulle operazioni di rinnovo dei titoli in portafoglio, tenuto presente gli enormi stock accumulati negli anni scorsi dagli dall’istituzione. Bce e Eurosistema delle banche centrali al 3 giugno scorso detenevano infatti complessivamente quasi 5.000 miliardi di euro titoli per finalitĂ di politica monetaria. In attesa delle decisioni l’euro è in risalita, a 1,0745 dollari.