Dai diritti Lgbtqia+ alla disabilità: a La Stampa arriva il ‘diversity editor’ Pasquale Quaranta

ROMA – Dal 12 maggio il quotidiano La Stampa ha un Diversity Editor, una figura nuova nel panorama giornalistico italiano, ‘con l’obiettivo di informare in modo sempre più inclusivo’. Il ruolo è stato affidato a Pasquale Quaranta, 40 anni, giornalista del gruppo Gedi e attivista di lungo corso per i diritti LGBTQIA+. Si tratta di una novità assoluta nel mondo dell’informazione italiana. “In realtà, scrivo di diritti civili da vent’anni- ha raccontato Pasquale Quaranta in un’intervista all’Agenzia Dire- ma per la prima volta questo lavoro ha un ruolo e un nome specifico in un giornale”.

In effetti Quaranta ha iniziato a scrivere di diritti LGBTQAI+ nel 2003, quando ha fondato l’Arcigay a Salerno, la sua città natale. Ha collaborato con le principali testate del movimento arcobaleno, tra cui Gay.it, Gay.tv, Babilonia, Pride, e ha curato per diversi anni una rubrica sui diritti per La Nuova Ecologia, il mensile di Legambiente, prima di entrare nel gruppo Gedi. A Repubblica, per una decina di anni, si è occupato della copertura giornalistica video e social. Il suo ingresso in Gedi si era fatto notare per le interviste e gli articoli in cui dava voce alla comunità LGBTQIA+. A lui si deve l’iniziativa di colorare di arcobaleno, per la prima volta insieme, i loghi dei siti de La Stampa, Repubblica e l’Espresso in occasione della Giornata mondiale contro l’omotransfobia. Lo scorso anno ha convinto i direttori de La Stampa e La Repubblica a partecipare per la prima volta a un Pride: Repubblica è scesa in piazza al Roma Pride con lo striscione rainbow ‘Il giornale dei diritti’ e La Stampa ha organizzato un carro della redazione, con tanto di magliette arcobaleno. Adesso, è proprio dallo storico quotidiano torinese che Quaranta riparte, portando le sue competenze e la sua esperienza in una rubrica, di cui sono già state pubblicate quattro puntate.

Ma come è venuta l’idea di un ‘diversity editor’? ‘L’idea è arrivata leggendo, l’ho proposta alla direzione ed è stata subito accolta con entusiasmo dal vicedirettore Andrea Malaguti, dalla vicedirettrice Annalisa Cuzzocrea e da Massimo Giannini, che ringrazio moltissimo per la fiducia. Ma la verità è che nessuna idea è soltanto nostra: come ha ricordato di recente Michela Murgia (con cui Quaranta ha collaborato quando la scrittrice aveva un contratto con Repubblica, ndr), mi piace pensare di aver avuto un’affinità elettiva in particolare con due colleghe, Krissah Thompson e Anna Masera. Mi ha ispirato il loro impegno’.

Chi sono? ‘La prima è una giornalista del Washington Post, una caporedattrice afroamericana che ha ricoperto il ruolo di ‘Managing Editor of Diversity and Inclusion’. Dichiarò in un’intervista che il Washington Post non rappresentava l’America, e disse letteralmente ‘Non siamo dove dovremmo e vorremmo essere’. Lo stesso giornale- racconta Quaranta alla Dire- lo scorso anno ha ammesso che il 71% della redazione era bianco, incluso il 79% dei top manager. A quel punto, anche sull’onda del movimento Black Lives Matters, Thompson è diventata responsabile anche dell’assunzione e del tutoraggio del giornale con l’obiettivo di ampliare la diversità in redazione. Anna Masera, invece, è stata la ‘Public editor’ de La Stampa, ruolo che ha assunto nel 2016. Era una garante di lettrici e lettori, così ha tenuto una rubrica che era una sorta di collegamento tra il pubblico e il giornale. Della serie, il titolo o una parola non ti tornano? Diccelo e verifichiamo. Sui social, via e-mail, e anche attraverso le lettere, tutte e tuti scrivevano a lei’.

In che modo queste due colleghe ti hanno ispirato? ‘Mi sono chiesto: ‘I giornali in cui lavoro riflettono davvero l’Italia? Cosa posso fare per migliorare la situazione? Posso contribuire in qualche modo a fare la differenza?’. Anche in Italia, come negli Stati Uniti, le redazioni sono composte in maggioranza da uomini bianchi eterosessuali e cisgender. Su questo nei prossimi anni forse si può fare qualcosa’.

In cosa consiste il tuo ruolo di ‘Diversity Editor’? ‘Continuerò a produrre contenuti inclusivi e a sensibilizzare la redazione. In genere, il lavoro di un editor, cioè di un giornalista all’interno della redazione, è spesso invisibile, a differenza di un reporter. In redazione si dialoga con colleghe e colleghi che a volte magari chiedono consiglio sulla terminologia da usare, in particolare delle persone lgbtq+. Quello che si vedrà all’esterno è una rubrica intitolata proprio ‘Divesity Editor’ in cui tratterò soprattutto questioni legate a quelle caratteristiche delle persone che sono ancora oggi, purtroppo, oggetto di discriminazioni. Il mio obiettivo sarà quello di ridurre il gap tra rappresentazione mediatica e vissuto reale delle persone, di lettori e lettrici’.

Quali temi tratterai nella rubrica? ‘Mi occuperò di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersessuali, asessuali e di corpi non conformi, di persone con disabilità, di migranti, di terza età e nuove generazioni, di intersezionalità nel superiore interesse di lettrici e lettori a ricevere un’informazione corretta e rispettosa anche su questi temi. Certo- assicura Quaranta- lo farò dal mio punto di vista di giornalista gay cisgender e bianco: vivo sulla mia pelle le discriminazioni che subiscono le persone omosessuali in Italia, ma la sfida è quella di assumere un’ottica intersezionale e aprirsi ad altre condizioni di marginalità, facendo tesoro di un punto di vista privilegiato sul mondo: quello delle escluse e degli esclusi. Perché ci sono aspetti comuni fra le varie forme di discriminazioni ed esistono persone che sommano di sé più di una. Ma anche io, nonostante tutto, commetto errori, quindi continuo a leggere e studiare, ma ho bisogno dell’aiuto di lettrici e lettori, delle associazioni, a cui chiedo continuamente consigli e soprattutto di scrivermi se notate qualcosa che non va.’

Quindi non ti offenderai di fronte alle critiche? ‘Assolutamente no! Il mio obiettivo è offrire il meglio al pubblico. Anzi, vorrei fare un appello ancora più esplicito: contattatemi, ditemi le parole che vi danno fastidio e quelle che vorreste sentirvi dire! Anche le persone molto critiche sono preziose perché mi permettono di interrogarmi. Resto in ascolto, non ho la presunzione di sapere già tutto, ho voglia di imparare. La cosa bella di questa faccenda è che è viva, il linguaggio è in evoluzione costante, mi arrivano continuamente libri che contengono riflessioni a cui magari non avevo pensato, storie di persone straordinarie che vanno assolutamente valorizzate perché ci portano a rivedere cose su cui non avevamo ragionato, viste dalla loro prospettiva’.

Quali sono secondo te i principali difetti dell’informazione italiana sulle tematiche Lgbtqia+? ‘In generale, si dà per scontato di scrivere solo per un pubblico cisgender, eterosessuale e bianco, ma non è così. Poi quando si parla di queste tematiche, si tende a consultare esperte ed esperti che non vivono sulla propria pelle condizioni di marginalità, oppure c’è la tendenza ad affidarsi a specialiste e specialisti, cosa che ha l’effetto di patologizzare le questioni e depoliticizzare le questioni. Per fare solo un esempio, parlando di omogenitorialità, c’è l’annosa questione del contraddittorio: è frequente che giornali e tv istituiscano un dibattito tra chi difende i diritti delle persone lgbt e chi è contro. Fino a quando sarà necessario?’.

Cosa ti auguri per il futuro? ‘Il mio sogno è che si arrivi, con la stampa e le associazioni di categoria, a una Carta deontologica arcobaleno. Mi piacerebbe invitare le associazioni in redazione per capire quali sono i temi più controversi e arrivare a una sintesi di 5 o 10 punti, una sorta di decalogo, su questioni ormai assodate ma che faticano ad entrare nel linguaggio giornalistico, come ad esempio declinare correttamente il genere delle persone in transizione. Vorrei che poi si facesse in modo che questa Carta rientri nel ‘Testo unico dei doveri del giornalista’. In questo modo, le future generazioni di giornaliste e giornalisti studieranno anche questi temi, che non saranno più imprevisti. Perché il rispetto passa anche dal linguaggio e quella sui diritti è una questione di democrazia, di rapporti tra di noi’, conclude Quaranta.

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