La Guinea tra ricchezze naturali e varietà alimentari fa i conti con la malnutrizione

ROMA – Il rapporto tra risorse naturali e sicurezza alimentare è imprescindibile, e da esso dipendono anche salute e benessere delle popolazioni, come dimostra il caso della Guinea, un Paese "unico in Africa per diversità e varietà alimentare" e al tempo stesso "afflito da povertà e malnutrizione infantile, che colpisce più di un bambino su tre entro i 5 anni di età". A chiarire il quadro è Aly Fancinadouno, pediatra, specialista in salute pubblica nutrizionale originario della Guinea Conakry, intervenendo nell’ultimo webinar della terza edizione del Programma Diaspore, organizzato dall’università Luiss ‘Guido Carli’, che si è concluso con il tema della Sicurezza alimentare, la nutrizione e la dinamica Consumatore-Imprese.

L’INSICUREZZA ALIMENTARE, UN TEMA DI SALUTE PUBBLICA

"Il mio Paese- continua l’esperto- vanta 300 chilometri di costa, 13 milioni di abitanti, un clima mite, tanti corsi d’acqua e ben quattro regioni naturali che presentano un grande potenziale per pesca e agricoltura. Abbiamo anche milioni di ettari di terre coltivabili, con circa 450mila colture ogni anno". Nonostante tali ricchezze però, la società è segnata da profonde diseguaglianze, come continua Fancinadouno: "il 32,4% dei bambini fino a 5 anni presenta malnutrizione cronica. Circa la metà della popolazione vive in povertà, oltre il 21% delle famiglie sono afflitte da insicurezza alimentare, e di queste il 2,4% è in condizione acuta". Questo "è un problema di salute pubblica importante", ricorda il pediatra, che evidenzia che tuttavia i dati disponibili risalgono al 2016.

Al contempo, assicura lo scienziato, "lo Stato ha messo in atto varie riforme", ad esempio "dal 2019 al 2030 è stato attivato un piano strategico per affrontare fame e malnutrizione", a cui si aggiunge "la creazione di un fondo speciale per l’agricoltura e uno per l’allevamento", che prevede anche risorse "alla ricerca". Perché, se da un lato è importante incoraggiare la produzione locale, anche con investimenti dall’estero, d’altra parte "si devono migliorare i mezzi di conservazione, trasporto, stoccaggio e diversificazione dei prodotti". Gran parte delle famiglie secondo Fancinadouno si concentra "sulla produzione di riso: bisognerebbe intensificare la formazione e gli scambi di esperienze per permettere sia a produttori che consumatori di abituarsi alla diversità".

All’intervento di Fancinadouno fa eco Anne Dioma, esperta in nutrizione e salute, che cita studi secondo cui "ogni dollaro investito per migliorare nutrizione, salute e igiene, concretizzano attività del valore di sedici dollari". Azioni che devono andare a migliorare "l’accesso all’acqua potabile e la salute dei genitori", se si vuole "eliminare la malnutrizione, come stabilito nel 2015 attraverso gli Obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite".

L’INDUSTRIA ALIMENTARE PAESI CHIAMA IN CAUSA ANCHE LA BLOCKCHAIN

Se in alcune aree del mondo il tema è l’accesso al cibo, in altre non solo quest’ultimo è presente in sovrabbondanza, ma chiama in causa tanti fattori che rendono i prodotti sempre più variegati e complessi, e questo aumenta i fattori che influenzano le scelte d’acquisto dei consumatori. A fare il punto è Marco Francesco Mazzù, recruiting leader e professore di Marketing and Digital della Luiss.Il docente ricorda come sapore, colore e odore in sé non bastano più: "i cittadini- spiega- si lasciano guidare anche dalla confezione con cui il prodotto è presentato, e in questo la tecnologia blockchain può essere un grande alleato delle imprese nel veicolare i valori più importanti ai fini degli acquisti: trasparenza e affidabilità". Mazzù porta l’esempio del QR Code spesso presente sulle confezioni: "Quando il consumatore lo inquadra con lo smartphone ottiene dati quali modalità di produzione, composizione, rispetto dei principi etici e così via". Più accurati e affidabili sono questi dati, maggiore sarà l’impatto "sul gusto e la percezione di salubrità del prodotto".

SAPORE, SALUTE, IMPATTO AMBIENTALE: IL RUOLO DELLA CONFEZIONE

Ragiona sul ruolo del packaging anche Alba D’Aniello, dottoranda in Management in Luiss, secondo cui "il produttore deve tenere presente che la confezione influisce anche sulle preoccupazioni del consumatore per la sostenibilità ambientale". Le informazioni riportate nell’etichetta o nei marchi delle certificazioni "giocano un ruolo, a prescindere che siano in linea o meno con l’ecosostenibilità".

D’Aniello si concentra sul caso della plastica: "Una direttiva Ue prevede che il 55% degli imballaggi in plastica sia riciclabile. Ma una confezione riciclata è uguale a una riciclabile? Non esattamente: la prima prevede che c’è già stato un riutilizzo, la seconda è un invito ai produttori a dare nuova vita a quel materiale. I consumatori, stando agli studi, non sono del tutto consapevoli di questa dinamica, tuttavia- avverte- alcuni studi dimostrano che un prodotto con su scritto ‘riciclabile’ genera una reazione positiva nella maggioranza dei casi, mentre uno ‘riciclato’ attrae meno, anzi in alcuni casi il consumatore lo rifiuta perché lo percepisce come causa di inquinamento o contaminazione". Il fatto che i materiali riciclati tendano ad essere opachi, avverte in conclusione la ricercatrice, "spesso può generare una percezione negativa sulla qualità stessa dell’alimento". Infine Carmela Donato, docente di Management and Business Administration all’università Giovanni D’Annunzio, e professoressa associata in Luiss, chiama in causa anche forma e colore che, a seconda dei casi, "possono suggerire che un prodotto è più gustoso, composto da ingredienti più sani oppure essere più o meno calorico. Alcune indagini dimostrano persino che snack imballati con materiali ecosostenibili aumentano il senso di sazietà".
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