Libere professioni: ovvero, perché esistono, quale ruolo svolgono, quale futuro hanno (parte 2)

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI.

Le professioni libere (o liberali, come la sociologia di fine ‘800 le definì) sono andate organizzandosi in strutture organizzate, dirette tra l’altro ad ottenere il pubblico riconoscimento e la istituzionalizzazione della professione.

In Italia – ma anche in altri Paesi, ad eccezione del mondo anglo sassone – è stata data alle professioni una strutturazione corporativa, che si è andata caratterizzando in: i) il riconoscimento pubblico con la relativa istituzione dell’albo professionale; ii) un codice etico fondamentale; iii) uno spirito di corpo, definito di “colleganza” ma anche in senso dispregiativo di “casta”.

Tutte le professioni, confluite in organizzazioni (gli “Ordini”), hanno assunto alcuni punti in comune:

  • La tendenza a compendiare ed esaltare la particolare e precipua specificità della professione stessa;
  • La riduzione di possibili tensioni e conflitti interni;
  • Un complesso di regole e processi ottenuti con norme che dogmatizzano la professione stessa;
  • La definizione precisa dell’oggetto della professione come area di competenze tecniche o scientifiche.

I lemmi enunciati hanno duplice scopo: quello di tutelare i professionisti che fanno parte della corporazione, ma anche e soprattutto quello di tutelare l’utenza dai possibili abusi da parte di non professionisti.

Questi elementi hanno portato ad identificare le libere professioni come attività lavorative di utilità sociale svolte da individui titolari di competenze specializzate ottenute con una lunga formazione; con il conseguente prestigio sociale assunto dai professionisti.

Nel tempo, a partire dai primi decenni del Ventesimo Secolo, le professioni sono state (o si sono) organizzate con istituzioni vere e proprie di autogoverno, vigilate dal Ministero della Salute per le professioni sanitarie o dal Ministero della Giustizia per le altre professioni.

Ordini professionali del tutto simili a quelli italiani son presenti in Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Belgio; anche se in numero inferiore rispetto all’Italia, che conta 31 albi professionali organizzati in Ordini; nel resto dell’Unione Europea le professioni sono del tutto libere, prive di organizzazioni formali come gli ordini; e spesso organizzate in Associazioni.

La funzione degli ordini in Italia è stata in anni recenti oggetto di forti critiche relativamente alle barriere all’accesso, alle tariffe professionali minime ed ai limiti che possono rappresentare alla libera concorrenza.

Tant’è che a partire dai primi anni del Ventunesimo Secolo è iniziato un tormentato percorso di mitigazione dei limiti all’accesso, di eliminazione delle tariffe minime, di introduzione di misure che dovrebbero evitare distorsioni e volgere verso principi di liberalizzazione.

La norma fondamentale è la Legge 4 agosto 2006, n. 248, che, tra l’altro, ha disposto:

  1. L’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime e del divieto di pattuire compensi parametrati ai risultati conseguiti;
  2. L’abrogazione del divieto anche parziale di svolgere pubblicità circa i titoli e le specializzazioni possedute, le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo, stabilendo che la pubblicità deve essere informata a criteri di trasparenza e veridicità il cui rispetto è verificato dagli Ordini;
  3. L’abrogazione del divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di Società di persone o associazioni fra professionisti.

In particolare, le tariffe professionali sono intese, nella norma citata, come intese restrittive della concorrenza, in linea con le disposizioni di derivazione comunitaria di divieto di “limitazione o impedimento della produzione, degli sbocchi, degli accessi di mercato, dello sviluppo tecnico, degli investimenti”.

(2 – continua)

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