La risposta non è univoca, poiché dipende da molteplici fattori, tra loro collegati, tra i quali in particolare: l’importo stimato della pensione pubblica, la percentuale di incremento di quest’ultima ritenuta adeguata da parte di chi sceglie di affidarsi alla previdenza complementare, gli anni di contribuzione alla forma pensionistica integrativa scelta e il rendimento netto della soluzione scelta.
Un elemento da non trascurare: il (possibile) contributo del datore di lavoro
Per tutte queste ragioni, è dunque al più possibile suggerire un “percorso” per determinare la quota di reddito da destinare al fondo pensione ritenuta più adatta alle proprie aspettative, facendo però una doverosa premessa, strettamente connessa alle modalità di adesione. Non bisogna infatti dimenticare che chi ha aderito al proprio fondo di riferimento in virtù di un accordo collettivo o di un regolamento aziendale ha diritto a beneficiare anche del contributo del proprio datore di lavoro secondo la misura e le modalità previste dall’accordo stesso. Ciò però a condizione che il dipendente versi a propria volta, o quanto stabilito dall’accordo/regolamento oppure decidendo di contribuire con un importo maggiore. Fa eccezione in tal senso solo la cosiddetta “adesione contrattuale” (in questo caso, l’accantonamento è a carico del solo datore di lavoro, mentre il dipendente può decidere sia sesia in quale misura contribuire).
Attenzione! Il lavoratore può decidere di contribuire alla propria posizione mediante il versamento del proprio TFR futuro (tutto o in parte), sempre in base a quanto previsto dal proprio datore di lavoro. Nel caso in cui scelga di contribuire con il solo TFR non potrà però contare sul contributo datoriale. Nell’eventualità di conferimento tacito, particolarmente importante valutare quindi se e quanto integrare le somme versate con un proprio contributo (in questo caso, anche il datore avrà obbligo di contribuire a propria volta, secondo quanto previsto dagli accordi di riferimento).
Diversamente, l’adesione individuale a una forma pensionistica implica che la propria posizione (di fatto presso un fondo aperto o un PIP) sia alimentata esclusivamente dal contributo dell’aderente. Nel caso dei lavoratori dipendenti, resta comunque possibile versare il solo TFR, mentre la scelta di una forma pensionistica differente rispetto a quella prevista dal regolamento aziendale o da altri accordi collettivi non si traduce automaticamente nella possibilità di beneficiare del contributo del datore di lavoro (come invece sarebbe appunto accaduto se si fosse scelto il “fondo di riferimento”).
Quanto versare? Altrimenti elementi utili da considerare…
A questo punto, ecco allora un utile percorso per valutare quanto contribuire in base alle proprie effettive necessità:
1) stimare tramite la “Busta Arancione” la propria pensione pubblica;
2) in base all’importo ipotetico della propria futura pensione pubblica, stabilire a quanto dovrebbe ammontare l’incremento – tramite rendita integrativa – utile a disporre di una pensione complessiva che consenta di mantenere un tenore di vita adeguato alle proprie esigenze;
3) considerare la durata della contribuzione, tenendo presente che più numerosi sono gli anni di contribuzione più facilmente sarà possibile accumulare un buon “tesoretto” anche a fronte di versamenti annui contenuti;
4) considerare i possibili vantaggi fiscali legati all’adesione e, in particolare, la deducibilità (entro i 5.164 euro del versamento annuo): l’importo netto del versamento sarà dunque inferiore a quanto effettivamente accantonato presso il fondo;
5) controllare attentamente sia all’inizio sia nel tempo non solo il proprio livello di contribuzione, ma anche la linea di investimento scelta: in particolare, una buona opzione da considerare sarà quella di accedere, nel corso della propria partecipazione, a comparti più rischiosi ma dai potenziali di rendimento più alti quando si è ancora distanti dalla pensione e, viceversa, virare su soluzioni in prospettiva meno redditizie ma anche meno rischiose quando si avvicina il momento della pensione. L’obiettivo deve cioè essere quello di un rendimento medio complessivo accettabile, ma soprattutto fare scelte in linea con il livello di rischio che si è disposti ad accettare. Livello di rischio che può appunto cambiare nel tempo, ad esempio in base all’ammontare del proprio patrimonio o del numero di anni che separano l’aderente alla pensione.
Attenzione! Ogni valutazione non può quindi prescindere dalla conoscenza della tipologia di linea di investimento, proprio perché a soluzioni differenti corrispondono anche diversi livelli di rischio e di rendimento atteso. Da considerare che, quando l’adesione è tacita, il TFR viene sempre fatto affluire a una linea garantita, che offre cioè una garanzia di rendimento minimo o di restituzione del capitale versato al verificarsi di determinati eventi: resta comunque intesa la possibilità di optare successivamente per comparti differenti.