La paventata riapertura dei termini per l’adesione al concordato biennale preventivo tiene banco tra i professionisti che dallo scorso 31 ottobre hanno dichiarato l’astensione a livello nazionale, fino al prossimo 7 novembre, in segno di protesta per la mancata proroga dei termini chiesta al governo per poter informare adeguatamente i clienti sulle opportunità offerte da questo nuovo strumento.
Nel corso del dibattito, moderato da Anna Maria Belforte, diversi sono stati gli interventi dei vertici delle sigle sindacali che hanno proclamato l’astensione collettiva.
Ad aprire la discussione Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale Commercialisti: “Il Concordato preventivo biennale è stato modificato più volte in maniera sostanziale.
Un istituto stravolto rispetto alla versione originale da diversi decreti. Noi abbiamo chiesto già da settembre più tempo perché c’eravamo resi conto che queste modifiche impattavano molto nella scelta dei clienti.
E noi commercialisti dobbiamo renderli consapevoli di una scelta che li vincolava per due anni. Così non è stato.
Abbiamo dovuto allora mantenere l’astensione. Le quattro associazioni promotrici (Anc, Fiddoc, Andoc e Unico) hanno attivato tutte le procedure previste dal Codice con la con le comunicazioni inviate a tutti gli enti preposti, al MEF all’Agenzia delle entrate e soprattutto all’Autorità garante dello sciopero o dell’astensione collettive e del nostro Paese.
Adesso dobbiamo vedere quale risultato porterà e come verranno concretamente riaperti i termini. C’è chi dice che potranno riaprire i termini soltanto coloro che in effetti hanno già mandato la dichiarazione.
Noi dobbiamo invece mettere in sicurezza anche tutti i colleghi che non hanno avuto il tempo necessario per poter inviare entro la scadenza le dichiarazioni dei propri clienti”.
Per Fabiana Di Lauro, presidente della Federazione donne dottori commercialisti ed esperti contabili: “Il concordato, così come era stato concepito, sarebbe stato sicuramente un flop. Difatti numerose sono state le modifiche che ha subìto questo nuovo strumento fiscale, fino a giungere ad interventi che lo hanno modificato in modo sostanziale.
Diventa a questo punto necessario rivedere tutte le valutazioni che erano state fatte inizialmente ed incontrare nuovamente i clienti alla luce delle novità”.
Sul ruolo dei commercialisti si è soffermato Mario Michelino, presidente di Andoc: “Nel momento in cui si vanno a toccare quelle che sono le norme tributarie, è indispensabile e necessario coinvolgere i commercialisti non ex post ma già nella stesura delle norme per verificare quali possono essere gli impatti operativi nel momento in cui si vogliono applicare queste norme.
A pesare non sono solo la mancanza di proroga dei termini per l’adesione al concordato ma anche le criticità di quelli che sono gli aspetti operativi, l’incertezza normativa, i continui disservizi del sito dell’Agenzia delle entrate che non hanno reso possibile la consultazione e lo scaricamento di file necessari per l’elaborazione del concordato preventivo biennale e del ravvedimento speciale”.
Domenico Posca, presidente dell’Unione italiana commercialisti ha sottolineato che “i commercialisti non sono contro il ‘Concordato’, lo consideriamo uno strumento di compliance fiscale, ma hanno avuto pochissimo tempo per poter effettuare una dettagliata valutazione da sottoporre ai contribuenti.
A partire dall’esigenza di valutare i costi per l’adeguamento nel modello Unico, agli Isa. Poi, in tempi ristretti si è inserito anche il ravvedimento speciale 2018/2022 a costi contenuti che ne ha cambiato l’approccio da mera valutazione di adesione a un patto per il futuro diventa valutazione di conseguenza per ciò che è già stato”.
*ItaliaOggi