Il governo si trova al centro di una nuova polemica riguardante l’adeguamento dei requisiti per la pensione, previsto per il 2027.
A partire dal primo gennaio di quell’anno, infatti, entrerà in vigore il nuovo aumento legato all’aspettativa di vita, che comporterà un ritardo di circa tre mesi nell’accesso alla pensione. La notizia ha sollevato un vero e proprio “giallo” e una bufera politica e sindacale.
LA DENUNCIA DELLA CGIL
La vicenda è stata portata all’attenzione del pubblico dalla Cgil, che ha segnalato un’anomalia scoperta attraverso la sua rete di patronati. Secondo l’organizzazione sindacale, l’Inps, pur senza il decreto ministeriale previsto dalla legge, avrebbe già applicato un aumento dei requisiti pensionistici, con l’introduzione di un anticipo di tre mesi per le pensioni che partiranno dal 2027 e di ulteriori due mesi a partire dal 2029.
Di fatto, questo comporterebbe che dal 2027, per andare in pensione di vecchiaia, sarà necessario avere almeno 67 anni e 3 mesi di età, oltre a 20 anni di contributi, mentre dal 2029 l’età minima salirà a 67 anni e 5 mesi.
Per la pensione anticipata, invece, i requisiti diventerebbero di 43 anni e un mese di contributi dal 2027, e di 43 anni e 3 mesi dal 2029 (con una riduzione di un anno per le donne).
La Cgil ha accusato il governo di non aver reso pubbliche queste modifiche, con l’Inps che avrebbe preso in anticipo l’adeguamento, nonostante la legge richieda l’approvazione di un decreto ministeriale.
LA SMENTITA DELL’INPS
L’Inps, presieduto da Gabriele Fava, ha reagito prontamente smentendo le affermazioni della Cgil. L’istituto di previdenza ha infatti dichiarato che non vi sono modifiche ai requisiti pensionistici e che tutte le certificazioni saranno redatte sulla base delle tabelle attualmente in vigore.
Tuttavia, la smentita è apparsa poco convincente e non ha placato le polemiche. Il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, ha preso posizione contro l’Inps, sostenendo che l’aumento dei requisiti non ci sarà e promettendo che, qualora l’aspettativa di vita dovesse effettivamente aumentare, la Lega interverrà per evitare ulteriori cambiamenti.
I CALCOLI DELL’ISTAT E DELLA RAGIONERIA DELLO STATO
Nonostante le dichiarazioni dell’Inps e del governo, i dati disponibili sembrano confermare che l’aumento dei requisiti sia una possibilità concreta. L’Istat, già lo scorso ottobre, aveva anticipato che dal 2027 sarebbe previsto un incremento di tre mesi nell’età pensionabile, a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita.
La Ragioneria generale dello Stato, nel suo ultimo rapporto sulla spesa previdenziale, ha infatti sottolineato che l’incremento della speranza di vita nel 2023 è stato superiore alle previsioni. Se questo aumento venisse confermato, l’adeguamento dei requisiti pensionistici sarebbe inevitabile, con un ritardo di tre mesi dal 2027 e di altri tre mesi dal 2029.
LE CONSEGUENZE PER I LAVORATORI
Nonostante il dibattito politico, le modifiche ai requisiti sembrano inevitabili senza una decisione contraria da parte del governo. Una situazione che potrebbe causare un effetto negativo per molte categorie di lavoratori, in particolare per quelli che sperano di andare in pensione anticipata.
La Cgil ha infatti denunciato che, con l’introduzione della “finestra” di tre mesi per la decorrenza dell’assegno, un lavoratore potrà andare in pensione anticipata solo dopo 43 anni e mezzo di contributi, superando di gran lunga il sistema di “Quota 41” tanto richiesto dai sindacati.
In particolare, i nati nel 1960, già penalizzati dalla mancata inclusione nella “Quota 100”, sarebbero tra i più colpiti da queste modifiche.
Un altro rischio paventato dalla Cgil è quello della creazione di nuovi “esodati”, ovvero lavoratori che, pur avendo aderito a piani di isopensione o ad altri meccanismi di uscita anticipata dal lavoro, potrebbero trovarsi in difficoltà e senza tutele per un periodo.
Il governo dovrà ora decidere se procedere con l’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici o se adottare misure correttive per evitare le ricadute negative previste, che rischiano di penalizzare migliaia di lavoratori.
La discussione è destinata a restare al centro del dibattito politico nei prossimi mesi, con le forze sindacali che continuano a denunciare le difficoltà per le categorie più vulnerabili, e con il governo che si trova a dover affrontare una questione delicata che coinvolge il futuro previdenziale di milioni di italiani.