ROMA – “A mia figlia Miriam, all’età di 5 anni, fu diagnosticato un medulloblastoma metastatico, un tumore maligno del sistema nervoso che colpisce un bambino su un milione di abitanti. Ad Acerra, dove abitiamo, vivono 60mila persone e nel 2012 erano in totale 4 i casi certi, a me noti, di bambini colpiti da questa grave patologia. Questo fa capire come purtroppo esista un nesso tra ambiente e malattia. Ma questo non sono io a dirlo, lo dicono gli scienziati, io sono solo una mamma che cerca di mettere in evidenza quello che accade nel nostro territorio”. A parlare è la signora Antonietta Moccia, 61 anni di Acerra, che racconta alla Dire la sua esperienza di malattia nella Terra dei Fuochi, dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha condannato l’Italia per il rischio “sufficientemente grave, reale e accertabile” per la vita degli abitanti della zona (circa tre milioni, nell’area a Nord di Napoli e sud di Caserta), che viene definito “imminente”.
“IL MOSTRO È VINTO MA MIA FIGLIA HA ANCORA TANTI PROBLEMI”
“Mia figlia subì 6 cicli di chemio, 2 autotrapianti, 60 radio (due al giorno) e 80 giorni di camera sterile- racconta alla Dire la signora Antonietta, tra le ricorrenti alla Corte europea- Per fortuna Miriam è andata avanti e oggi ha 18 anni. Il mostro è stato vinto, ma ha lasciato la sua firma sul suo corpo. Mia figlia oggi ha problemi all’udito e porta gli auricolari, perché ha subito danni all’encefalo; ha problemi ai denti, che ora deve necessariamente incapsulare altrimenti le cadrebbero; ha problemi di crescita e problemi all’apparato genitale, per cui deve assumere la pillola per il ciclo. Appena 3 mesi fa, inoltre, ha subito un intervento alla schiena, perché all’esordio della malattia le furono rimosse due lamine dal canale vertebrale, quindi con il passare degli anni la sua schiena si è incurvata in avanti, con dolori fortissimi. Adesso sta piano piano recuperando, ma dovrà fare controlli a vita, purtroppo non c’è un termine per questa malattia”.
“NELLA TERRA DEI FUOCHI NON SI VIVE”
Cosa vuol dire vivere nella Terra dei Fuochi? “Vivere nella Terra dei Fuochi vuol dire non vivere- ha risposto la signora Moccia alla Dire- perché appena i nostri figli avvertono un mal di testa oppure un altro malessere andiamo subito in tilt. Qui purtroppo ogni giorno sentiamo storie di bambini e ragazzi che si ammalano o che muoiono. Quindi qui non si vive”.
“NESSUNO PUÒ PIU’ CHIAMARMI PAZZA”
Avete mai pensato di andarvene dalla vostra terra? “Avevo pensato di andarmene, ma non ero e non sono nelle condizioni di affrontare uno spostamento da Acerra. Magari potessi farlo. Mia figlia ieri è stata intervistata e le hanno posto la stessa domanda, lei ha risposto: ‘Non voglio rimanere a vivere qui, perché ho paura che i miei figli un domani possano passare quello che ho vissuto io’. E questa risposta la dice lunga, c’è molta sfiducia nei confronti delle istituzioni. Sono stata chiamata ‘pazza’ (insieme a molte altre mamme) perché non sono mai stata ferma, perché ho combattuto e partecipato a tantissime manifestazioni per ribadire che esisteva un nesso tra l’ambiente e la malattia. Finalmente oggi, dopo questa sentenza, nessuno può più chiamarmi ‘pazza’”.
È stato (ed è ancora) un percorso lungo, quello affrontato dalla signora Moccia e da sua figlia, che oltre al peso della malattia si sono sentite totalmente abbandonate dalle istituzioni: “Se non fosse stato per l’aiuto anche economico ricevuto dalla mia famiglia e dai miei amici, non so come avrei fatto- ha raccontato ancora la signora Antonietta alla Dire- Nel 2012 ho dovuto prendere una stanza in affitto all’interno dell’ospedale di Salerno, perché mia figlia faceva due radioterapie al giorno, dal lunedì al venerdì, e non potevo fare avanti e indietro da Acerra. Ho potuto farlo solo grazie ai miei amici e ai miei parenti, che ancora ringrazio, mentre le istituzioni non ci sono mai state. Nessuno è venuto a casa mia per chiedermi se avessi bisogno di qualcosa. Mai. E come me tante famiglie”.
“ORA LO STATO SI DIA DA FARE”
Ma questa sentenza cambia qualcosa per voi? “Non mi sento vittoriosa, ma sono in parte contenta perché la pronuncia della Corte conferma anche che non ero e non sono ‘pazza’. Spero solo che adesso lo Stato italiano prenda atto di questa sentenza e si dia da fare. Basta con questi tavoli e ‘tavolini’- ha sottolineato la mamma di Miriam- noi vogliamo soltanto azioni concrete: il nostro territorio deve essere bonificato. Questa è la nostra richiesta, perché il nostro territorio è quello che ci dà da vivere. In questi anni le famiglie colpite hanno creato una rete, insieme ad altre mamme abbiamo creato un’associazione che si chiama ‘Le mamme di Miriam’, come mia figlia, diventata il simbolo della lotta”. Dove trovate la forza e il coraggio di andare avanti? “La tenacia sono i nostri figli, che ci danno la forza per non fermarci mai. E adesso ancora di più, perché dobbiamo tenere alta l’asticella. In questi due anni lo Stato deve muoversi- ha concluso- Noi ci faremo sentire sempre”.
AVVOCATO CENTONZE: “ORA DA STATO IMMEDIATA ESECUZIONE SENTENZA”
“La sentenza ha individuato delle misure specifiche e dettagliate che lo Stato italiano dovrà attuare per compensare i vulnus dell’ordinamento giuridico. La Corte, infatti, ha rilevato che c’è un problema strutturale nell’approccio alla questione dell’inquinamento ambientale da parte dello Stato italiano e richiede degli interventi in aree specifiche, come per esempio un diverso riparto di competenze o, in ogni caso, un coordinamento tra tutti quanti gli enti deputati a contrastare l’inquinamento ambientale, immaginando anche la partecipazione della società civile, quindi delle associazioni”. Così alla Dire l’avvocata Valentina Centonze, che dal 2014, insieme ai colleghi Antonella Mascia, Armando Corsini e Ambrogio Vallo, ha assistito 71 cittadini e associazioni nel ricorso alla Corte europea dei diritti umani (CEDU), ottenendo una storica sentenza per lo Stato italiano, riconosciuto colpevole di inerzia decennale nella lotta all’inquinamento nella Terra dei Fuochi, che negli anni ha compromesso la salute di migliaia di persone.”L’intervento- ha spiegato la legale alla Dire- è richiesto sia ai fini del monitoraggio, trattandosi di associazioni ‘sentinelle’ attive sul territorio, quindi in grado di indirizzare le autorità, sia al fine di coordinarsi rispetto al contrasto dell’inquinamento ambientale. Questo perché uno dei problemi principali dell’ordinamento giuridico, secondo la ricostruzione fatta da questa sentenza, attiene alla poca deterrenza delle fattispecie delittuose individuate soltanto nel 2015, note come ‘ecoreati’, considerate di fatto inadeguate a contrastare il fenomeno dell’inquinamento, quindi dello sversamento e dell’incenerimento dei rifiuti. C’è poi l’attenzione rispetto alla perimetrazione dei territori, che si richiede venga continuamente aggiornata e, quindi, ad interventi pronti e urgenti in tema di bonifiche”.
Negli anni, intanto, ci sono state sentenze e arresti per sversamento di rifiuti tossici in quelle terre, eppure nulla è cambiato: perché l’Italia non è stata in grado di risolvere il problema? “La questione afferisce proprio a quel problema strutturale che la sentenza individua- ha risposto ancora l’avvocata Centonze alla Dire- cioè la mancanza di fattispecie delittuose fino a tutto il 2015, perché precedentemente i reati ambientali erano fattispecie contravvenzionali sanzionate con una semplice multa e, considerato il lucro che veniva ottenuto con il traffico di rifiuti, pagare una sanzione non era sicuramente un deterrente. Questo era il primo problema strutturale, fronteggiato nel 2015 con l’introduzione appunto degli ecoreati; tuttavia questo non ha esaurito il problema dello sversamento e dell’incenerimento di rifiuti. Per cui la Corte ha posto l’accento sulla necessità di combattere le condotte che hanno dato origine al fenomeno dell’inquinamento, ovvero lo scarico, il seppellimento e l’incenerimento illegale dei rifiuti, ritenendo che da questo vulnus possa discendere un pericolo per la vita delle persone ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione”.
Ma cosa vi aspettate ora dalle istituzioni e quali sono le misure che si potranno mettere in campo per affrontare la situazione? “Sicuramente la misura più urgente è quella di intervenire subito e prontamente con un aggiornamento delle perimetrazioni. Ricordiamo- ha evidenziato la legale- che tra il 2013 e il 2015 sono già state effettuate delle mappature che hanno portato ad identificare 90 comuni nell’ambito della Terra dei Fuochi, ma non sono disponibili i fondi per le bonifiche ed infatti la quantità di interventi effettuati è veramente irrisoria. Secondo i dati riportati dalla Regione Campania, nell’ambito di questo procedimento, nel 2019 i siti inquinati erano infatti 4.692, ma gli interventi di bonifiche effettivamente compiuti erano soltanto il 3%”.
Ora all’Italia sono stati dati due anni per elaborare una strategia. “In realtà i due anni sarebbero proprio per ottemperare a tutte queste raccomandazioni. Questa verifica è rimessa al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, che dovrà vigilare sull’esecuzione della sentenza e, come è successo nel caso di Sarno contro Italia, bisognerà vedere se saranno previste ulteriori proroghe. Noi però auspichiamo che ciò non accada, considerato che il problema, secondo quanto dice la Corte, è urgente, concreto ed imminente. Esiste un pericolo che richiede un intervento tempestivo e ulteriori lungaggini non gioverebbero assolutamente e snaturerebbero il senso stesso della pronuncia”.Bisogna fare presto e monitorare, dunque. “Certamente, è necessario immaginare che il ruolo della società civile, così valorizzato in questa sentenza, sia anche quello di informarsi e di vigilare sull’operato delle istituzioni- ha sottolineato alla Dire l’avvocata Centonze- creando delle cabine di regia dove sia consentita anche la partecipazione della società civile attiva, affinché si possa creare una sinergia che porti celermente all’individuazione delle soluzioni migliori”. Infine, quali saranno i prossimi passaggi? “La sentenza, come futuro step, prevede un’udienza a due anni per la verifica dell’ottemperanza a queste raccomandazioni. Noi come avvocati coadiuveremo la società civile nel percorso che porterà all’esecuzione della sentenza, individuando tutti i sistemi e i rimedi per poter monitorare al meglio l’operato delle istituzioni”.
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