Sulla natura giuridica e la funzione delle Casse di Previdenza: un po’ di teoria non guasta

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI

(Parte seconda)

Alcuni studiosi, approfondendo la materia della “comunità intermedia”, definizione assegnata alle Casse Previdenziali privatizzate, hanno ulteriormente chiarito che i principi di “solidarietà endocategoriale” e di “comunanza di interessi” richiamati dalla Corte Costituzionale nella Giurisprudenza che abbiamo citato nella prima parte di questo intervento vanno intesi nel più ampio senso della necessità che lo Stato promuova queste forme di auto governo sociale secondo quanto enunciato dall’art. 43 della Costituzione, laddove si fissa il principio in virtù del quale lo Stato può trasferire o riservare a “comunità di lavoratori o di utenti” attività economiche che abbiano le caratteristiche dei servizi pubblici essenziali  e siano di interesse generale; e la previdenza rientra a pieno titolo in entrambe le categorie.

Le Casse, senza dubbio, possono essere considerate “comunità di lavoratori o utenti” che auto gestiscono il servizio pubblico essenziale di interesse generale della previdenza sociale per i propri iscritti.

E dunque, proprio secondo l’art. 43 della Costituzione, devono essere viste dall’apparato statale almeno secondo queste quattro implicazioni di politica pubblica:

  1. Il riconoscimento che le risorse di queste comunità non sono risorse dello Stato, e che lo Stato introducendo per legge l’obbligo di contribuire in capo agli iscritti si limita a creare le condizioni perché queste forme sociali siano stabili e solide nel tempo;
  2. L’autonomia delle comunità intermedie deve essere ampiamente riconosciuta, ed il rispetto dell’autonomia impone un rapporto di coordinazione fra Stato e Casse, e non di subordinazione gerarchica;
  3. Le forme di auto governo delle Casse devono vedersi riconosciute ampie potestà di autoregolazione e di auto regolamentazione;
  4. Gli investimenti delle Casse – Comunità intermedie possono a pieno titolo essere diretti ad utilizzi funzionali agli interessi delle comunità amministrate per alimentare un sistema chiuso che si auto finanzia e auto sostiene, senza mai fare appello alla solidarietà esterna alla comunità.

Coerentemente a ciò, il controllo pubblico dovrebbe essere limitato entro il perimetro di meri controlli di regolarità; eppure la tendenza è da sempre quella di rafforzare gradualmente i controlli, definiti da qualche studioso “la morsa governativa” con modifiche alla legge originaria di sistema (il D. Lgs. 509/1994); ad esempio quelle portate dalle leggi 122/2010 e 111/2011, che hanno definito per specifici aspetti le attività delle Casse nell’ambito soggettivo delle amministrazioni pubbliche, con interpretazioni fondate più sulla prassi amministrativa che sui principi della legge.

La tesi portata dai sostenitori della vigilanza invasiva e dell’inclusione delle Casse nel perimetro della pubblica amministrazione consiste oltre che nella funzione pubblicistica svolta, anche nell’obbligo contributivo, come elemento fondamentale della liceità e necessità dello stretto controllo.

Ma anche su questo punto la Corte Costituzionale ha avuto sempre orientamento opposto: l’obbligo contributivo non è un elemento che conferisce carattere pubblicistico alle Casse; è soltanto un corollario della rilevanza pubblicistica della funzione, implicito nella premessa di legge che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario (Sentenze 88/1995 e 248/1997).

L’obbligo di contribuzione costituisce lo strumento per abilitare, facilitare e promuovere l’auto organizzazione della comunità intermedia, e di conseguenza utile a consentire l’equilibrio del sistema previdenziale auto gestito.

Ed ancora, nella Sentenza 248/1997 la Corte ha sottolineato che la comunanza di interessi degli iscritti comporta che ciascuno concorra con il proprio contributo al costo delle erogazioni, delle quali si giova l’intera categoria.

L’ultimo principio derivato dalla Giurisprudenza Costituzionale che è utile citare è contenuto nella Sentenza 15/1999: “la privatizzazione degli enti pubblici di previdenza ed assistenza è inserita nel contesto del complessivo riordinamento o della soppressione di enti previdenziali, in corrispondenza ad una direttiva più generale volta ad eliminare duplicazioni organizzative e funzionali all’interno della pubblica amministrazione”.

La sentenza sottolinea che le Casse sono sfuggite a questo processo di razionalizzazione organizzativa o di fusioni ed incorporazioni in quanto “enti che, non usufruendo di alcun sostegno finanziario pubblico, intendono mantenere la loro specificità ed autonomia, assumendo la forma dell’associazione o della fondazione”.

Ed ancora ricordano, i giudici costituzionali che “la garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti privatizzati, che costituisce un principio direttivo della delega, non attiene tanto alla struttura dell’ente quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni.”

Tutte queste argomentazioni su principi di rango addirittura costituzionale sono dirette a sottolineare l’autonomia delle Casse e la collidente e forse antigiuridica invasività dei controlli della tecno struttura ministeriale.

Nel prossimo intervento, con il quale ci proponiamo di concludere l’afflizione per i lettori con argomenti così involuti e complessi, prenderemo in esame uno specifico caso di ingerenza invasiva dello Stato nell’autonomia delle Casse: il prelievo corrispondente alla spesa per consumi intermedi dell’anno 2010, sul quale è dovuta intervenire nuovamente la Corte Costituzionale.

(2 – segue)

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