Sulla natura giuridica e la funzione delle Casse di Previdenza: un po’ di teoria non guasta

Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI

I lettori ci perdoneranno se questa settimana affrontiamo, e lo faremo solo in parte ed in breve, un argomento che può sembrare poco pragmatico, ma che si riferisce alla “saga” amministrativa e di giurisprudenza che indirizza (o a volte devia) le dinamiche sociali, i fenomeni economici e istituzionali che governano o cercano di governare un mondo, la previdenza privatizzata, che è sempre in bilico fra pubblico e privato.

L’approccio della tecnocrazia (i Ministeri) è incline a qualificare come “pubblico” tutto ciò che assomigli ad una formula organizzativa che agisce per scopi non strettamente privatistici.

E questo approccio si fonda su una concezione che i giuristi definiscono “panpubblicistica”, in virtù della quale il soggetto privato può agire solo per un interesse individuale e mai collettivo.

Ma la riforma delle casse del 1993/1994 – che intendeva ispirare la riorganizzazione del settore attorno al principio dell’autonomia delle casse stesse – ha in realtà prodotto soggetti “ibridi” che non si riesce a qualificare come soggetti pubblici o privati in senso puro e completo; e certamente non possono essere considerati soggetti delegati dal mondo pubblico ad espletare una funzione.

La riforma ha prodotto, dunque, una sorta di comunità intermedia: che svolge una funzione qualificata come pubblica (la previdenza) ma in regime di autonomia e di indipendenza dallo Stato, come enti di diritto privato.

Che, però, sono soggetti non solo al controllo del mondo pubblico, ma anche ad obblighi e vincoli tipici degli enti pubblici: fino a vedere i propri conti consolidati nel Bilancio dello Stato.

Sembra di percepire, da questo regime di vincoli che obiettivamente stride con i principi di autonomia delle casse, una diffidenza sulla reale capacità di questi enti (le casse) di auto organizzarsi ed auto amministrarsi; e certamente una notevole insofferenza nei confronti dell’autonomia pur se sancita dalla Legge.

Questa indiscutibile frizione fra mondo pubblico e casse privatizzate ha generato nel tempo uno strano regime dicotomico: da un lato la volontà politica, manifestata attraverso l’emanazione delle leggi di riforma, è andata nella direzione del pieno riconoscimento dell’autonomia delle Casse; e le casse stesse, costituitesi in gruppo che rappresenta interessi comuni, hanno premuto e premono per l’effettiva attuazione di questi principi di indirizzo politico che sanciscono l’autonomia; e d’altra parte la struttura tecnocratica dello Stato, attraverso i Ministeri vigilanti, ha invece orientato la visione verso un “policentrismo” dell’ordinamento della previdenza, fondato sul controllo e sull’assoggettamento a vincoli pubblici.

Non va dimenticato e va posto in enfasi che perfino la Corte Costituzionale ha costantemente ed univocamente sostenuto la scelta di dotare le Casse di Previdenza di un sistema di solidarietà endocategoriale basato sulla comunanza di interessi degli iscritti, in virtù del quale ciascuno di essi concorre con il proprio contributo al costo delle prestazioni da erogare delle quali si giova l’intera categoria professionale. L’orientamento dei giudici costituzionali è lineare e continuo nel tempo, dalla Sentenza n. 248 del 1997 alla n. 7 del 2017.

Questo richiamo alla solidarietà endocategoriale sottolinea secondo la Corte la funzione della previdenza che le Casse svolgono ex art. 38, comma 4, della Costituzione; cui si accompagna, per le Casse stesse, un dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale che le comunità dei professionisti svolgono per non gravare sulla solidarietà generale e quindi sulla collettività.

Da ciò dovrebbe conseguire inevitabilmente che lo Stato deve limitarsi a svolgere una funzione promozionale della creazione delle comunità auto organizzate di professionisti solidali fra loro predisponendo strumenti e meccanismi (leggi e regolamenti) che garantiscano l’effettività dell’obbligo di contribuzione in capo agli iscritti.

Ma i corpi tecnici ministeriali (quelli che prima abbiamo definito “tecnocrazia”) rimangono indifferenti rispetto ai richiami della Corte, né sembrano orientati a far emergere la vera origine sociale, culturale, politica delle Casse.

Da ciò il paradosso in virtù del quale le Casse vengono considerate per certi aspetti organizzativi come soggetti privati (non possono ricevere garanzie pubbliche, non possono essere beneficiarie di finanziamenti pubblici) e per altri aspetti sono ritenute soggetti pubblici (inclusione nell’elenco ISTAT delle pubbliche amministrazioni, applicazione delle norme sulla spending review, assoggettamento al regime dei contratti pubblici).

(1 – segue)

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