Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 19/2025, ha dichiarando legittimo e non contrario ai principi costituzionali il provvedimento di legge che ha istituito il blocco della perequazione per le pensioni di maggiore importo, e il raffreddamento della rivalutazione a seconda delle fasce di reddito.
La misura, oltre che per le pensioni erogate dalla Previdenza Pubblica, è stata adottata da tutte le Casse negli anni scorsi; era stata sollevata questione di legittimità costituzionale da parte di alcuni pensionati INPS, ma una sentenza che avesse accolto il rilievo e dichiarato la incostituzionalità del blocco o della riduzione delle perequazioni avrebbe potuto avere importanti conseguenze anche per i provvedimenti adottati dalle Casse.
Si deve dire che la Consulta sul tema della riduzione delle perequazioni ha già più volte espresso un parere di legittimità rispetto alle norme costituzionali: già nel 2013 si era espressa a favore del contributo di solidarietà; e nel 2020 aveva rigettato la questione di legittimità costituzionale sul prelievo e sul blocco delle pensioni più alte.
Ma bisogna anche rilevare, come argutamente ha fatto il prof. Brambilla su Itinerari Previdenziali, che la Corte, nelle sentenze precedenti ha sempre raccomandato che il taglio delle perequazioni fosse di breve durata, ragionevole, proporzionato e non ripetitivo.
La questione di legittimità costituzionale che è stata risolta con la sentenza 19/2025, invece, riguarda le pensioni che superano di 4 volte il minimo, e dunque le pensioni che, al lordo di Irpef, sono di circa 2.400 euro mensili.
Si penalizza dunque una platea di pensionati non certamente “ricchi”; ed il taglio alla perequazione affligge in misura ancora più importante le pensioni che superano di 8 volte il minimo, circa 5400 euro lordi al mese; che diventano poco più di 3.000 euro netti.
La misura economico – previdenziale, che, si ripete, è stata adottata in forme e misure diverse da tutti gli organismi che erogano previdenza, colpisce tuttavia soggetti che hanno pagato per tutta la vita lavorativa contributi elevati; e non è afflittiva per le pensioni erogate a quella platea che gode di pensioni, pur di basso importo, ma che non hanno avuto in passato copertura nei versamenti contributivi.
Ma i tagli sono costituzionalmente legittimi, ha sancito la Corte; con ciò coprendo la previdenza pubblica ed anche, per riflesso, le Casse Previdenziali private.
Ci sarebbe però da chiedersi quanto economicamente sia utile per lo Stato il taglio delle perequazioni: colpisce una coorte ridotta dei pensionati (16,2 milioni di pensioni sono al di sotto di 4 volte il minimo); sottrae in permanenza la rivalutazione a chi ne è colpito (si pensi che in presenza di una inflazione al 2% i soggetti colpiti dal blocco perdono in dieci anni tra il 4 ed il 10% del potere di acquisto); e non tiene conto che la quota contributiva delle pensioni è comunque soggetta a rivalutazione piena; infine, trascura e mortifica chi ha accumulato anzianità a titolo oneroso riscattando, ricongiungendo o versando contributi volontari.
In conclusione, salvo il Governo, salve le Casse: però a spese dei pensionati; ovvero di alcuni di essi, non certamente titolari di “pensioni d’oro”.