Cuchel: fare le cose bene non significa compierle in fretta
Il pensiero del presidente Anc. Associazioni e ordini dei commercialisti scrivono alla premier
di Davide Mattei
Il dibattito sulla riforma elettorale del Consiglio Nazionale dei Commercialisti e degli Esperti Contabili sta infiammando la categoria. Tra le voci più autorevoli spicca Marco Cuchel, presidente dell’Anc, richiama tutti alla prudenza e alla responsabilità istituzionale.
Sempre attivo per la tutela degli Iscritti (è il promotore del diritto di sciopero e del diritto alla salute della Categoria), Cuchel si trova in una posizione particolarmente delicata: richiamare alla prudenza e alla responsabilità istituzionale proprio quel presidente nazionale che, nella scorsa competizione elettorale, ha contribuito attivamente a far eleggere.
Presidente Cuchel, lei ha sostenuto con convinzione l’attuale presidente nazionale del Cndcec, ora sembra, però, che lei stia prendendo le distanze da chi ha contribuito a far eleggere. Perché si oppone a questa riforma?
Prendo le distanze non dalle persone ma dalle scelte. Le persone si possono stimare e al tempo stesso criticare. La democrazia funziona così: non è questione di simpatia o antipatie, è questione di principi. Non mi oppongo alla riforma in sé. Mi oppongo al fatto che si voglia introdurla proprio adesso, a pochi mesi dalle elezioni.
Partiamo dal cuore del dibattito. La proposta di riforma della Professione prevede il voto diretto da parte di tutti gli iscritti. Cosa c’è che non va?
Il problema non è il voto diretto in sé, che anzi è una forma più ampia di partecipazione. Il dilemma è quando e come lo si introduce. Farlo adesso, con un presidente in carica che può permettersi di essere ovunque – giornali, convegni, social – mentre gli altri non hanno neppure l’elenco degli iscritti, non è democrazia: è marketing con l’alibi della riforma.
Il presidente uscente ha però molti sostenitori, anche tra chi lo considera un innovatore.
Nessuno gli nega energia, dedizione e il risultato ottenuto – grazie all’impegno dell’onorevole Marta Schifone – sulla questione dei collegi sindacali. Ma per come si sta ponendo in questa vicenda, emerge con chiarezza la differenza tra un leader e un uomo solo al comando: il leader costruisce regole valide per tutti, l’altro solo per sé. Le grandi riforme non si fanno con il telecomando in mano e il logo dell’istituzione in sovrimpressione. Si fanno mettendo davvero tutti attorno a un tavolo e non facendo finta di farlo.
C’è chi sostiene che lei è “ancorato” a un modello vecchio, mentre l’attuale vertice vuole “modernizzare”. Non pensa che il voto diretto favorisca una maggiore partecipazione degli iscritti?
Se per ‘modernizzare’ s’intende saltare i passaggi democratici, allora sì, preferisco un ‘modello vecchio’. Ma non confondiamo le etichette con la sostanza. Il voto diretto può favorire la partecipazione, certo – ma solo se tutti i candidati partono dalle stesse condizioni. La partecipazione deve essere autentica, non pilotata. Se uno solo può contattare tutti gli iscritti, mentre gli altri devono affidarsi al passaparola, non è una vera elezione: è un’investitura costruita a tavolino mascherata da consultazione.
Come risponde a chi dice: “State solo cercando di rimandare una riforma inevitabile”. Non ritiene che questa posizione rischi di sembrare un freno al cambiamento?
Tutt’altro. È proprio per garantire un cambiamento vero, serio e condiviso che insisto sul rinvio. Fare le cose bene non significa compierle in fretta. Cambiare è giusto, ma solo dentro una cornice di imparzialità. La preoccupazione è tale che Ordini e Associazioni hanno scritto alla Presidente Giorgia Meloni: chiediamo che la riforma venga rinviata a dopo le elezioni. È l’unica strada credibile. Perché, se è davvero una buona riforma, lo sarà anche dopo. E se non lo sarà più, allora non era una riforma: era un’arma puntata sulla nostra democrazia.
La questione delle e-mail degli iscritti indisponibili per chi si candida. Che cosa comporta?
È come correre i cento metri contro uno in motorino, mentre tu sei scalzo. La privacy impedisce a chi si candida di contattare gli iscritti, ma intanto il presidente uscente comunica ogni giorno attraverso i canali istituzionali del Consiglio Nazionale. Ha lanciato un programma – “Incontriamoci” – che gli consente di girare l’Italia a spese dell’istituzione, mentre chi si propone in alternativa non può nemmeno inviare una mail.
Sui social, al massimo, raggiungiamo ventimila colleghi. E gli altri centomila? Lì parla solo lui.
Una competizione vera richiede regole uguali per tutti. Se uno corre in pista e l’altro va in motorino, non è una gara. È un ‘colpo di Stato’.
Però, il presidente uscente ha sempre dichiarato di volere maggiore trasparenza…
Basta intendersi su cosa s’intende per trasparenza. Quale trasparenza è possibile, se gli strumenti per comunicare con gli iscritti sono accessibili solo a chi è al governo dell’istituzione? La vera trasparenza non è una dichiarazione d’intenti, è parità concreta. Altrimenti non è apertura: è propaganda travestita da virtù, ed è ancora più pericolosa perché finge di essere democrazia mentre la svuota.
Lei ha parlato di “gioco truccato”. Non è un’accusa forte?
Immagini una finale di tennis in cui uno dei due giocatori può scegliere le palline, decidere quando si cambia campo e giocare sempre con il sole alle spalle, mentre all’altro giocatore tocca servire anche controvento. Non occorre truccare il punteggio per alterare una partita: basta falsare le condizioni di gioco. Qui sta accadendo esattamente questo. Stiamo riscrivendo le regole su misura di chi è già in vantaggio. Se non è un trucco, è qualcosa di molto peggio: è una finta partita con il risultato già scritto.
E se il Consiglio Nazionale decidesse di tirare dritto?
Sarebbe una forzatura grave. Ma più che a me, dovranno rispondere agli iscritti, che si chiedono perché si abbia tanta fretta, proprio adesso. E alla storia, che registra tutto. Compresi gli errori di chi si crede eterno.
Cosa direbbe ai colleghi che sostengono ancora questa riforma immediata o che, magari per prudenza, non hanno ancora preso posizione?
A chi spinge per questa riforma immediata e a chi continua a tacere, dico che non esiste neutralità quando si stravolgono le regole. Restare in silenzio oggi vuol dire accettare che domani qualcun altro decida al posto tuo. La democrazia non chiede simpatia o appartenenza: chiede schiena dritta. E chi oggi finge di non vedere l’ingiustizia, domani non avrà più il diritto di lamentarsene.
Qual è la sua proposta concreta per uscire dall’impasse?
Rinviare la riforma a dopo le elezioni e aprire subito un tavolo di confronto vero, trasversale, dove tutte le sensibilità della categoria possano sedersi con pari dignità. Se la riforma nasce sotto il controllo di chi vuole rimanere al comando, non è democrazia: è occupazione del potere.
Quale messaggio vuole mandare direttamente al presidente nazionale?
Che non si è leader da soli. Si diventa leader sapendo ascoltare e confrontarsi anche con chi esprime dubbi o dissensi. Guidare una comunità non significa imporre scelte, ma costruirle insieme.
* ItaliaOggi