Gli approfondimenti sulla previdenza di PAOLO LONGONI
Secondo la normativa vigente in materia di pensionamento per gli iscritti ai Fondi Pensione gestiti dall’INPS, l’età per il conseguimento del diritto – attualmente fissata a 67 anni – aumenta a seguito delle rilevazioni dell’aspettativa di vita eseguite dall’Istat.
I dati dell’Istituto Centrale di Statistica mettono in evidenza che nel 2024 la speranza di vita a 65 anni sale a 21,2 anni, in aumento rispetto al 2023 quando il valore registrava 20,9 anni; l’indicatore espone la crescita più elevata dal 2019, ovvero dall’era pre – covid.
Gli indicatori vengono pesati in misura biennale, e dunque il periodo 2023/2024, rispetto a quello 2021/2022 registra un incremento di sette mesi.
L’incremento deve essere però depurato della diminuzione – causata dalla pandemia – del biennio 2019/2020, che registrava quattro mesi di speranza di vita in meno rispetto al biennio 2017/2018, con il risultato di far salire l’asticella della soglia utile per la pensione – determinata secondo la Legge Fornero – a 67 anni e tre mesi.
E sempre di tre mesi lieviterebbe la soglia legata alle uscite anticipate consentite con l’anzianità contributiva: da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e un mese per gli uomini e da 41 anni e 10 mesi a 42 anni ed un mese per le donne.
Per i più giovani, e cioè per coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996, l’aumento si applicherebbe sui requisiti per la pensione di vecchiaia contributiva, che salirebbero a 71 anni e 3 mesi, mentre i requisiti per la pensione anticipata contributiva si innalzerebbero a 64 anni e 3 mesi con almeno 20 anni e 3 mesi di contribuzione effettiva.
Il ritocco dell’età pensionabile e delle soglie di anzianità contributiva è già compreso nelle stime del 25° Rapporto di gennaio 2025 della Ragioneria Generale dello Stato sulle tendenze di medio – lungo periodo del sistema pensionistico.
Il Documento Economico di Finanza Pubblica – DEF – approvato nello scorso aprile, limitato come è noto al solo quadro tendenziale, conferma che in Italia la spesa pensionistica continuerà a crescere raggiungendo il picco del 17,1% del PIL nel 2040; e secondo le previsioni della Ragioneria Generale dello Stato l’età pensionabile nel 2040 dovrebbe giungere alla soglia di 68 anni ed un mese, mentre nel 2051 potrebbe toccare i 70 anni.
La politica, tuttavia, sembra voler cedere alle doglianze portate avanti dalle parti sociali e da (alcuni) partiti: il Sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon ha ribadito che il Governo interverrà per bloccare l’adeguamento automatico dell’età pensionabile.
Lo stesso Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha apertamente lasciato intendere di essere favorevole a un congelamento del meccanismo, ricordando però che per l’operazione sarà necessaria l’emanazione di un decreto-legge o comunque di una norma di legge da emanare entro fine anno.
Non si tratta di una “sterilizzazione” indolore per i conti pubblici: secondo le stime del sottosegretario Durigon la maggiore spesa pensionistica provocata dal blocco dell’innalzamento inciderebbe sui conti per almeno 200 milioni di euro, ed andrebbe ammortizzata con un intervento opportuno da adottare nel quadro complessivo della finanza pubblica.
Quanto alle doglianze delle parti sociali, la CGIL ha sottolineato che l’incremento dell’età pensionistica inciderebbe su almeno 44 mila lavoratori che hanno sottoscritto intese sindacali tra il 2020 ed il 2024 che prevedono uscite anticipate (i cosiddetti “scivoli”), che potrebbero trovarsi nella situazione di mancanza di reddito e senza contribuzione, così come accadde agli “esodati” ricaduti nell’applicazione della Legge Fornero.
Come sempre, in conclusione, il tema delle pensioni pubbliche è fonte di allarme, discussione, controversie e problemi: lo Stato garantisce la copertura delle prestazioni INPS con due tipi di finanziamenti: quelli a titolo definitivo, utilizzati per coprire le prestazioni assistenziali non finanziate da contributi, e quelle che sono definite “anticipazioni di bilancio” (ma si tratta di anticipazioni alle quali non è mai seguita nessuna “restituzione”) dirette a coprire quelle prestazioni previdenziali che non sono sufficientemente coperte dal gettito contributivo.
Il bilancio INPS al 31.12.2024 indica un risultato negativo (deficit) pari a 9,287 miliardi di euro, reso ancor più preoccupante dalla previsione formulata dal Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Istituto che quantifica l’effetto dei provvedimenti di “rottamazione” e di “saldo e stralcio” in una diminuzione di crediti per 16,4 miliardi, che ricadranno inevitabilmente in futuro sulla fiscalità generale.
Il punto di vista dei professionisti, che gestiscono la propria previdenza in forma autonoma con le Casse privatizzate, non può che essere di parziale sollievo: i provvedimenti tempestivamente adottati di innalzamento dei requisiti pensionistici e le prospettive di equilibri futuri sono confortanti rispetto alle prospettive incerte della previdenza pubblica ed agli inquietanti risultati finanziari, patrimoniali ed economici che evidenzia.