Sulla riforma serve confronto

Aprire tavoli tecnici, il testo non è largamente condiviso

Commercialisti, la posizione di otto presidenti di Ordini in merito alla proposta Cndcec

di Davide Mattei

Negli ultimi giorni, alcuni organi di stampa hanno rilanciato la notizia secondo cui la proposta di riforma dell’ordinamento professionale dei dottori commercialisti, messa a punto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, sarebbe stata approvata da 100 Ordini su 132.

Un dato frutto di un clamoroso fraintendimento, che a più voci viene oggi smentito con fermezza da un nutrito gruppo di Presidenti di Ordini territoriali: il dossier, spiegano, non è mai stato sottoposto a una votazione formale e non ha mai ricevuto un mandato unanime da parte dell’assemblea.

Questa non è la prima volta che vengono diffuse interpretazioni troppo ottimistiche o semplicistiche del dibattito interno ai commercialisti.

Già a dicembre 2024, dopo l’assemblea di presentazione del bilancio preventivo del CNDCEC, erano circolate analoghe affermazioni di un “ampio consenso” attorno alle modifiche al Dlgs 139/05.

Già allora, il Presidente dell’Ordine di Avellino aveva dovuto intervenire pubblicamente per smentire ogni illazione. Oggi a sostenerne la verità sono, oltre ad Avellino (Mario Lariccia), i Presidenti di Brescia (Severino Gritti), Firenze (Enrico Terzani), Milano (Marcella Caradonna), Oristano (Giuseppina Uda), Roma (Giovanni Battista Calì), Salerno (Agostino Soave) e Sassari (Marco Scanu), tutti testimoni presenti in assemblea.

Il “dibattito” che non è diventato delibera

La riforma in discussione ha infatti fatto brevemente capolino nell’assemblea di giugno 2024, dove – pur inserita all’ordine del giorno – non è mai stata sottoposta a delibera.

Allo stesso modo, il successivo incontro di dicembre non prevedeva alcun punto su quel tema: a quell’appuntamento, spiega un firmatario, «non si doveva parlare di riforma, bensì prendere visione del bilancio preventivo».

Il risultato è che chi tacque in quell’occasione – come la stragrande maggioranza dei Presidenti, soprattutto di Ordini di piccola dimensione – non manifestò né consenso né dissenso: «In assenza di un voto», commentano i firmatari, «non si può applicare il vecchio adagio “chi tace acconsente”». Tantomeno a un tema così strategico e divisivo.

I numeri del “quel giorno”

Nel corso della seconda assemblea, furono circa 30 i Presidenti intervenuti, «per lo più favorevoli» alla riforma, come recitava il comunicato stampa del CNDCEC. Ma un’analisi più attenta dei dati smonta l’idea di un plebiscito.

Dei 30 interventi favorevoli, spiega un Presidente presente, «le voci in appoggio rappresentavano complessivamente 15.000 iscritti», mentre gli interventi critici erano rappresentativi di oltre 23.000 colleghi.

Altri Presidenti, pur critici, scelsero di non intervenire proprio perché il tema non era all’ordine del giorno. E fuori dall’aula, moltiplicati sono stati gli invii di lettere ufficiali al CNDCEC e perfino comunicazioni dirette al Ministero della Giustizia, tutte caratterizzate da pareri sostanzialmente negativi.

Una lettura superficiale dei soli interventi favorevoli non può dunque essere elevata a prova di un consenso diffuso: a contare non sono le decine di Presidenti che hanno preso la parola, bensì le migliaia di iscritti che essi rappresentano e le centinaia di firme raccolte contro il testo.

L’appello a un confronto autentico

I Presidenti – appartenenti a Ordini di tutta Italia, dal Nord al Sud – rivolgono oggi un appello: «Diffondete ricostruzioni veritiere dei fatti, evitando di dare l’impressione di un’unanime adesione alla proposta di riforma».

Perché la professione ha bisogno di una riforma che nasca da un confronto democratico, autentico, trasparente, capace di far maturare un progetto condiviso, anziché di accentuare le divisioni.

La riforma del Dlgs 139/05, spiegano i Presidenti degli otto Ordini, «è per ora soltanto una traccia di lavoro, una prima bozza che richiede approfondimenti tecnici e normativi», non un testo già compiuto. «È indispensabile mettere in campo tavoli tecnici aperti, ascoltare tutte le sedi – anche quelle più piccole – e rimodulare la proposta in base alle osservazioni raccolte».

Il CNDCEC, dal canto suo, dovrà dimostrare disponibilità a riprendere il percorso di condivisione promesso a settembre e ottobre 2024, quando si parlò di due riunioni tematiche sulle modifiche.

«Frenare l’iter normativo per riprendere il dialogo significherebbe dare prova di attenzione verso la base – concludono i firmatari – mentre spingere senza ascolto rischia di dare vita a una riforma che divide anziché unire».

Verso il futuro della professione

D’altronde, il futuro dei commercialisti in Italia passa proprio dalla capacità di elaborare regole che rafforzino la qualità delle prestazioni, la trasparenza e la tutela dell’utenza, ma anche di valorizzare il ruolo “generalista” della categoria in un mercato sempre più complesso. Occorre un testo di riforma che riconosca la pluralità di competenze richieste, non un mero tentativo di suddividere il lavoro in compartimenti stagni.

Se si riuscirà a mettere da parte “forzature” e narrazioni unilaterali, i commercialisti potranno finalmente dotarsi di un ordinamento moderno, all’altezza delle sfide digitali, fiscali e organizzative del Paese.

Ma questo non nascerà da una presunta approvazione “100 su 132”: già in giugno e dicembre si è visto che i numeri non reggono. La vera riforma, invece, verrà da un processo partecipativo, che metta al centro la qualità della discussione e l’ascolto di tutte le voci. Solo così le divisioni saranno ricomposte e la categoria potrà guardare al domani con maggiore unità e fiducia.

* ItaliaOggi

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