Non può essere punito un comportamento che non trova fondamento in una norma specifica
Un’irregolarità formale, priva di effetti sul conto economico e sulla dichiarazione dei redditi, non può giustificare l’applicazione di sanzioni per dichiarazione infedele.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 26107/2025 che segna un importante chiarimento in materia tributaria.
Il caso in esame trae origine dal ricorso di una s.r.l. contro un avviso di accertamento con cui le Entrate contestavano la presenza in bilancio di un debito, qualificandolo come sopravvenienza attiva.
“In primo grado, la CTP di Genova aveva respinto le doglianze della società mentre la CTR della Liguria, aveva annullato il recupero fiscale, riconoscendo come l’errore contabile non avesse prodotto alcun risparmio d’imposta. Tuttavia – ha evidenziato Guido Rosignoli, vicepresidente della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – i giudici regionali avevano mantenuto le sanzioni, ritenendo comunque irregolare il comportamento della contribuente”.
La Suprema Corte ha ribaltato quest’ultima parte della sentenza.
“La voce patrimoniale contestata era in realtà bilanciata da una corrispondente, seppur impropria, iscrizione nelle rimanenze. Questo meccanismo contabile – prosegue Rosignoli – pur errato, non aveva avuto conseguenze sul risultato economico né sul Modello Unico presentato. Di conseguenza, non vi era alcuna ‘infedeltà dichiarativa’ come richiesta dalla normativa sanzionatoria”.
La Cassazione ha richiamato il principio di legalità: non può essere punito un comportamento che non trova fondamento in una norma specifica, tanto più in assenza di effetti fiscali concreti.
