Dallo spesometro all’Iva, quanti costi nello studio

La fine della legislatura è il momento ideale per bilanci e consuntivi in tutti i settori, ma soprattutto in ambito fiscale. L’individuazione di occasioni perse e novità efficaci è un tema ricorrente, per esempio, tra i commercialisti. Enrico Zanetti, ex viceministro dell’Economia, commercialista e già direttore dell’ufficio studi della categoria, non ha dubbi: «Le misure più efficaci sono state quelle che hanno riguardato l’abolizione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap e la riduzione dal 27,5% al 24% dell’Ires. Ma sono state sprecate tante occasioni in tema di semplificazione: a cominciare dallo spesometro fino ad arrivare allo split payment. Quest’ultimo, cioè il mancato incasso dell’Iva esposta in fattura, è uno dei temi più caldi. «Lo scopo qual è? — si chiede Giuseppe Bernoni, commercialista ed ex presidente nazionale di categoria —. Lo Stato vuole contrastare l’evasione. E non si fida delle aziende perché teme che qualcuno non versi l’Iva. Cosi mette in piedi un meccanismo che penalizza i professionisti che dovessero avere prevalenti rapporti con la pubblica amministrazione perché, di fatto, non riescono a scaricare l’Iva. Si tratta di un evidente disagio di carattere finanziario perché i professionisti devono anticipare le somme. Un’incomprensibile decisione penalizzante che va contro la semplificazione». Fatture E poi c’è la vicenda spesometro che, secondo i commercialisti, costa circa i.600 euro l’anno ad ogni studio. «Lo spesometro ha avuto una vita difficile — continua Bernoni —. Abbiamo incominciato prima comunicando il saldo delle fatture ricevute e delle fatture emesse, poi hanno spostato i termini a 3 mesi, poi a 6 mesi, poi a un anno. Adesso, con l’ultima norma, siamo ritornati a 6 mesi. Ma, non sono solo le fatture: l’Erario vuole una serie di dati molto specifici per cui non puoi mandare solo una copia del libro Iva. L’amministrazione ha quindi creato un format particolare sul quale l’azienda e il professionista devono comunicare tutti questi dati. È un lavoro più da contabile che da professionista. Alla pari dell’invio della dichiarazione: dicono che basta un clic, ma non è cosi perché è molto più complicato di quanto sembra. Una procedura che, tra l’altro, non rientra nemmeno tra le prestazioni tipiche professionali, lo facciamo per servizio. Sono attività in perdita nemmeno comprese dai clienti. Il direttore generale dell’Agenzia delle Entrate ha assicurato che con l’introduzione della fatturazione digitale (primo gennaio 2019) cambierà tutto? Speriamo non sia troppo tardi». Strappo generazionale Altro nodo è quello dell’equo compenso, una sostanziale reintroduzione delle tariffe minime, un provvedimento che ha spaccato le categorie professionali mettendo in contrapposizione vecchi e giovani. «Capisco la contrapposizione generazionale — dice Zanetti — ma ritengo che il ripristino dell’equo compenso sia una misura corretta dopo che per anni c’è stato un azzeramento indiscriminato dei minimi tariffari. C’è stato un incontrollato eccesso di ribasso che ha penalizzato la professionalità. Credo che il giusto compromesso sia una distinzione tra consulenza volontaria e quella per obblighi di legge (per esempio il compenso di un collegio sindacale): ritengo che quest’ultima abbia bisogno di un equo compenso che la disciplini e la tuteli».

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