Permettere alle Casse di previdenza di investire in maniera più “strutturata” nell’economia reale del Paese. In che modo? Aprendo le porte del capitale della Cassa depositi e prestiti come già fatto per le fondazioni bancarie. A lanciare i a proposta è Roberto Diacetti, direttore generale dell’Enpaia, l’Ente di previdenza degli addetti e degli impiegati in agricoltura. «Le Casse», spiega Diacciti, «hanno complessivamente un patrimonio di 108 miliardi di euro, superiore persino a quello delle Fondazioni bancarie che è di 40 miliardi. A mio avviso potrebbero destinare fino a 5 miliardi ai dossier di investimento gestiti da Cdp che rispettano tutti i criteri di prudenza tipici di investitori di lungo periodo come le Casse».
Dottor Diacetti, come nasce questa proposta?
«Faccio una premessa. Le Casse previdenziali sono passate tutte, nel giro di pochi anni, dall’investire il proprio patrimonio finanziario quasi esclusivamente in Btp in strumenti più complessi. Anche perché abbiamo vissuto molti anni di tassi di interesse asfittici. E poi storicamente le Casse hanno investito nell’immobiliare. Negli ultimi anni il sistema ha sperimentato nuovi investimenti, e in particolare investimenti alternativi in fondi chiusi che danno rendimenti più alti della media e che investono o in infrastrutture o, attraverso il private equity, in imprese».
Che tipo di investimenti prediligono le Casse?
«Una classe di investimento che piace molto è quella in infrastrutture, soprattutto italiane e improntate alla sostenibilità. In questo modo si ottengono cedole costanti e si aiuta l’economia reale del Paese. Proprio in quest’ottica le Casse possono effettuare scelte consapevoli per sostenere l’economia italiana senza pregiudicare la loro redditività o aumentare il rischio».
E l’ingresso in Cdp seguirebbe questa logica?
«Le faccio un esempio. Enpaia recentemente è diventata azionista del Fondo italiano di investimento, nel quale ci sono Cdp e i principali Istituti bancari. Cdp ha deciso di ridurre la sua partecipazione, ma mantenendo sempre la maggioranza del capitale. Così ha fatto entrare altre due banche e due Casse previdenziali, l’Enpam e noi. Stare nella governance ci ha in qualche modo permesso di partecipare alle scelte strategiche della Sgr che, per esempio, nei giorni scorsi ha lanciato un fondo che investe nell’agritech».
Quindi l’idea sarebbe di replicare questo modello a un livello più alto?
«Oggi l’85 per cento del capitale di Cdp è controllato dal ministero dell’Economia e il 15 per cento dalle Fondazioni bancarie. Queste ultime, come ho detto, hanno un patrimonio che nella sua interezza vale una quarantina di miliardi di euro. Le Casse oggi hanno un patrimonio di 107 miliardi ed in crescita costante. Sempre più spesso vengono sollecitare a partecipare in modo episodico ad operazioni di ‘sistema’ come successo di recente, per esempio, nel caso dell’aumento di capitale Mps. Perché allora non permettere alle Casse di entrare direttamente nel capitale di Cdp con una quota del 15 per cento come quella oggi alle fondazioni bancarie? In questo modo si permetterebbe al sistema delle Casse di avere un posizionamento strategico nella governance e nella cabina di regia degli investimenti per l’economia reale».
Questo permetterebbe comunque di essere presente nei dossier di investimento a valle?
«Certo, e sarebbe una presenza più fluida, più integrata e più consapevole. Credo che le Casse sarebbero un partner ideale per la Cdp che esige investitori pazienti e di lungo periodo».
Le Casse potrebbero essere interessate anche a un investimento nella rete unica di telecomunicazioni?
«È un asset strategico del Paese, Leggo che si sta ragionando sullo scorporo della rete. Qualora avvenisse, verificata una redditività adeguata di lungo periodo, è uno di quei dossier in cui, con capofila Cdp, investitori come noi potrebbero e dovrebbero fare la loro parte».