Aliquote variabili per i professionisti

Pensione obbligatoria ma con contributi e importo modulabile. È quanto offrono diverse Casse di previdenza a cui versano i contributi i professionisti tenuti a iscriversi a un albo. È un mondo che conta quasi 1,3 milioni di iscritti tra cui notai, avvocati, commercialisti, psicologi, ingegneri e altri ancora. Le Casse di previdenza provvedono a erogare la pensione di “primo pilastro” (con l’eccezione di Enasarco che fornisce prestazioni integrative rispetto all’Inps ad agenti e rappresentanti di commercio) e sono dotate di autonomia rispetto alle regole previste per la generalità dei lavoratori. Questo significa, ad esempio, requisiti differenziati per accedere alla pensione e diversità delle aliquote contributive che si è chiamati a versare nel corso dell’attività lavorativa, purché i bilanci degli enti stessi siano sostenibili, cioè le entrate e le uscite, anche in proiezioni ultradecennali, risultino quanto meno bilanciate. Requisiti e aliquote Autonomia significa inoltre poter utilizzare metodi di calcolo dell’importo della pensione diversi rispetto a quelli dei lavoratori iscritti all’Inps. Questa possibilità è concessa in particolare alle Casse con più anni di vita, regolate dal decreto legislativo 509 del 1994. Sono anche quelle che vantano più iscritti (quasi 1,1 milioni complessivamente). Tuttavia su questo fronte nel corso del tempo le differenze si sono ridotte perché, pur nell’autonomia, si è dovuto tener conto dell’allungamento della vita e dell’evoluzione del mercato del lavoro. Quindi sono state messe apunto riforme che hanno determinato l’adozione più o meno ampia del sistema di calcolo contributivo e un innalzamento dei requisiti di accesso alla pensione. Meno margini di azione sono stati previsti, sin dalla loro nascita, per le Casse di previdenza più giovani, nate dopo la riforma Dini del 1995 e sottoposte al decreto legislativo 103 del 1996, perle quali il metodo di calcolo è obbligatoriamente quello contributivo. -In tutti i casi, però, i professionisti erano e sono chiamati a versare aliquote contributive minime inferiori rispetto a quella prevista per i lavoratori dipendenti iscritti all’Inps. Se per questi ultimi, infatti, i contributi ammontano al 33% della retribuzione imponibile a fini previdenziali, per molte categorie di professionisti ancora oggi, nonostante gli aumenti degli ultimi anni, l’aliquota del contributo soggettivo (che è quello principale che alimenta la posizione contributiva) è ancora sotto al 15% del reddito professionale netto (si tenga conto che in genere c’è un importo minimo, contenuto, da versare in ogni caso e un massimale reddituale oltre il quale la contribuzione non è dovuta). Un prelievo “leggero” che però determina la prospettiva di avere pensioni altrettanto “leggere”, con un tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra l’ultimo reddito e la prima pensione, del 30% o anche inferiore, e con l’ulteriore rischio di valori assoluti ridotti e non sufficienti a garantire un assegno adeguato. Le soluzioni disponibili. Da qui la decisione, adottata da più Casse, di aumentare progressivamente l’aliquota minima da versare, in modo da incrementare il montante contributivo accumulato dal singolo iscritto. Inoltre in alcuni casi il contributo integrativo, oltre che a copertura di spese sostenute dagli enti, in parte viene accreditato sulla posizione contributiva dell’iscritto. Altra misura che è stata messa in atto, soprattutto negli ultimi anni, è il riconoscimento di un’extra rivalutazione. Mentre nel sistema previdenziale pubblico il montante contributivo accumulato si rivaluta di anno in anno in base alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo, le Casse possono riconoscere agli iscritti rendimenti superiori, previa autorizzazione del ministero vigilante, acce lerando così l’incremento del capitale che poi sarà trasformato in assegno previdenziale. L’altra
opzione a disposizione di diverse categorie di professionisti è la possibilità di versare un’aliquota superiore a quella minima. Per gli iscritti alla Cassa forense c’è il contributo modulare che può variare dall’1% (obbligatorio) al 10% e si aggiunge a quello soggettivo del 14,5% dando vita a una quota di pensione calcolata con il metodo contributivo che si aggiunge a quella base. Opzione analoga è a disposizione dei veterinari, il cui contributo modulare varia dal 2 al 14% e va versato per almeno 5 anni. La Cassa di previdenza dei dottori commercialisti prevede un’aliquota minima del 12%, ma volendo riscritto può versare anche il 100% sul reddito professionale netto. Per gli psicologi l’aliquota del contributo soggettivo è ancora del 10%, ma elevabile fino al 20% con una scelta da effettuarsi ogni anno e quindi non vincolante. Meccanismo analogo è disponibile per la gestione principale dell’ente di previdenza degli infermieri, chiamati a contribuire in misura pari almeno al 16% del reddito professionale netto, con la possibilità di salire al 23 per cento. Ingegneri e architetti al 14,5% possono aggiungere un’ulteriore aliquota compresa tra l’1 e il 5%, mentre per gli iscritti alla Cassa di previdenza di ragionieri e periti commerciali il contributo soggettivo oscilla tra il 15 e il23% a discrezione del singolo professionista. Entro il 31 gennaio di ogni anno, invece, i medici appartenenti alle categorie professionali dell’assistenza primaria, della continuità assistenziale, dell’emergenza sanitaria territoriale, nonché i pediatri di libera scelta (a breve anche gli specialisti esterni) hanno la possibilità di richiedere alla propria Asl l’incremento o la modifica dell’aliquota modulare. La misura implica il versamento volontario di una quota contributiva aggiuntiva a proprio carico compresa tra 1º e il 5%, che consentirà di percepire una quota di pensione ulteriore. La scelta può essere annualmente modificata o revocata. Oltre a ciò per far crescere l’importo della pensione si può effettuare il “riscatto di allineamento” che consente di allineare i contributi già pagati a una contribuzione più alta versata nei periodi in cui si è lavorato di più e quindi il reddito è stato maggiore. Le scelte dei professionisti Dunque i professionisti in diversi casi possono costruirsi una pensione “principale” che può essere gestita con una certa flessibilità al fine di incrementarne l’importo e senza dover ricorrere magari alla previdenza complementare. Si tratta di opzioni a disposizione da qualche anno, ma che per il momento non sembrano aver preso piede, almeno m base ai dati forniti da alcune Casse. Tra i ragionieri, meno dell’8% ha deciso finora di versare oltre l’aliquota minima. Percentuali ridotte anche tra gli psicologi, dove però chi punta a incrementare la pensione lo fa in modo abbastanza deciso, dato che l’aliquota media versata è superiore al 13 % a fronte di un minimo del 10 per cento. Numeri ridotti tra architetti e ingegneri, dove sono in particolare gli iscritti con età media e anni di contributi piuttosto elevati a compiere questa scelta. Probabilmente su queste scelte ha influito la congiuntura economica degli ultimi anni, in cui anche i redditi dei professionisti hanno sofferto, come evidenziato più volte nei rapporti annuali dell’Adepp, l’associazione che riunisce le Casse di previdenza. A fronte di entrate in calo e di valori assoluti che, soprattutto per i giovani, spesso consentono solo di affrontare la quotidianità, l’investimento sul fronte previdenziale viene posticipato o nemmeno preso in considerazione.

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