Intervista a Giuseppe Scolaro – “La classifica non dice tutto. Limite ai contanti? Inutile”

Italiani popolo di evasori? Sì, ma le tabelle e le classifiche non fotografano una realtà molto più complessa di quelle che i numeri raccontato. Giuseppe Scolaro, presidente nazionale degli Esperti contabili, guida un punto di osservazione privilegiato per capire cosa avviene sul fronte del fisco.

Gli italiani passano spesso per un popolo di evasori. Ma è proprio vero?
«È vero che, secondo le ultime classifiche, siamo al primo posto in Europa (con 190,9 miliardi, ndr). Ma, subito dietro di noi, ci sono Paesi considerati virtuosi sulla carta, come Germania e Francia che, rispettivamente, hanno registrato 125,1 e 117,9 miliardi di evasione. Poi troviamo Gran Bretagna, con 87,5 miliardi, e Spagna (60). Nei 28 Paesi Ue, l’evasione fiscale supera gli 825 miliardi in tutto».

L’Italia non brilla, ad esempio, nell’evasione dell’Iva…
«La percentuale di Iva evasa raggiunge il 26%. Romania e Grecia hanno percentuali più elevate, pur avendo aliquote più basse. Siamo in testa, invece, per quanto riguarda l’Iva evasa pro-capite. Ma al secondo posto, subito dopo l’Italia, troviamo un Paese insospettabile come la Danimarca. E, nella top ten dei contribuenti che non pagano l’Iva c’è anche la Francia, Siamo in buona compagnia. La nuova direttiva Uè che impone agli Stati membri un’attività di accertamento più spinta sull’evasione, in particolar modo nei confronti dell’Iva, ha fatto emergere che ogni giorno, in Europa, si evadono 2,25 miliardi di euro».

Una cifra enorme. Ma davvero si può recuperare?
«I metodi di calcolo sono basati sulle medie degli accertamenti fiscali effettuati dai singoli Paesi. Parliamo, quindi, di atti amministrativi. Il dato si riduce sensibilmente se consideriamo, invece, il totale delle transazioni che i contribuenti effettuano con il fisco».

C’è però anche una parte di evasione “fisiologica”, non aggredibile.
«Certo. Ma ci sono altre due aree che non bisogna sottovalutare».

Quali?
«In primis quella di chi evade perché altrimenti dovrebbe chiudere bottega o che utilizza l’evasione come una forma di autofinanziamento, lo la chiamo “evasione di necessità”. È il caso, ad esempio, dei contribuenti che ritardano il pagamento delle imposte. Iva in particolare. In un sistema come quello italiano, dove la gestione della liquidità è difficile e con un sistema bancario restio a concedere anticipi e finanziamenti, i rapporti fra clienti e fornitori sono piuttosto complessi. Ma non basta, il fenomeno riguarda anche le imposte dirette, i contributi previdenziali, le accise…»

E la seconda parte di evasione fiscale aggredibile?
«Abbiamo due milioni di piccole e medie imprese e oltre 5 milioni di partite Iva. Non ci sono solo le grandi aziende che evadono».

Nell’ultima manovra si è decisa una stretta anti-contante. Quali saranno i suoi effetti?
«In passato tentativi simili non sono serviti a far emergere il nero. La stima di gettito prevista è passata dai 7 ai 3,5 miliardi, che si aggiungo ai 10 miliardi recuperati ogni anno. Sono tutti strumenti basati sull’affidabilità fiscale dei contribuenti, sulla loro buona volontà. Eppure lo Stato avrebbe a disposizioni tecnologie e strumenti in grado di ampliare il volume degli accertamenti e quindi scoraggiare l’evasione. È la strada maestra per combattere il fenomeno».

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