Quanti sono i detenuti al 41bis? Ecco i numeri dalle carceri italiane

ROMA – Rinchiusi in dodici istituti penitenziari di massima sicurezza, si contano in Italia 749 detenuti al 41bis, di cui 13 sono donne. Il cosiddetto carcere duro nasce con una duplice funzione. "Una è prevista dalla legge e una è simbolica, di ‘Stato inflessibile’ – spiega all’Agenzia Dire Alessio Scandurra, coordinatore dell’osservatorio sul carcere dell’Associazione Antigone -. Nel primo caso il carcere funziona come per qualunque altro detenuto, che resta nel penitenziario finché le condizioni di salute siano compatibili con la detenzione e finché si è capaci di intendere e di volere in riferimento al fatto che si sta subendo una pena detentiva. Perché chi è incapace di capire cosa gli accade attorno, non può essere né punito né rieducato".

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PERCHÉ ESISTE IL 41BIS

Seconda questione è il presupposto che tiene in piedi il 41 bis: il carcere duro è motivato "dall’esigenza di interrompere i legami tra il detenuto e la sua organizzazione criminale. Quindi, se le condizioni fisiche della persona in 41bis gli rendono impossibile questo tipo di capacità, allora il 41bis stesso decade per motivi di salute. Nel caso di Matteo Messina Denaro, però, il tema non si pone".

MESSINA DENARO, IL 41BIS E LE CURE

Proprio sulla questione sanitaria potrebbe svilupparsi, secondo il coordinatore dell’Osservatorio sulle carceri di Antigone, un paradosso: "Sono sicuro che alle persone in 41bis è possibile garantire il tipo di cure previste anche per patologie gravi. Nel caso di Matteo Messina Denaro non si tratta di cure complicate – spiega Scandurra – la chemioterapia è facile da somministrare e da monitorare".

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"Al contrario nel sistema penitenziario ordinario anche patologie non complicatissime da curare possono diventare ingestibili per assenza di macchinari e di specialisti. Quindi – osserva Scandurra – se per i detenuti al 41bis non si pongono difficoltà nelle cure, dato il numero ristretto di detenuti, per gli oltre 56mila detenuti delle carceri ordinarie non esistono né dati né pubblicazioni sulle loro condizioni di salute. Noi raccogliamo informazioni sulla loro salute mentale, ma né le Regioni né i ministeri svolgono questo tipo di indagini. Solo la Toscana raccoglie i dati e qualche anno fa ha condotto anche una ricerca nazionale. Quello che sappiamo – conclude l’esponente di Antigone – è che le patologie più diffuse sono quelle di natura psichiatrica legate al consumo di sostanze, ma non solo, seguite poi dalle malattie cardiovascolari".
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