Nata nel 2011 per favorire l’aggregazione degli studi quale naturale risposta alle nuove sfide del mercato, la societĂ tra professionisti (Stp) rimane, purtroppo, una forma residuale per l’esercizio delle attivitĂ professionali. Lo testimonia lo scarso numero di societĂ tra professionisti iscritte nei relativi albi: l’ultimo rapporto di ricerca della Fondazione nazionale dei commercialisti, ad esempio, censisce soltanto 813 Stp a fronte dei circa ii8mila iscritti all’Albo, mentre i dati riferiti alle altre professioni sono generalmente meno incoraggianti. I freni alla crescita Lo scarso appeal di tale strumento dipende da una serie di fattori: se le incertezze sul regime tributario applicabile alle Stp sono state progressivamente superate grazie ai chiarimenti forniti dall’agenzia delle Entrate, rimangono ancora aperte alcune rilevanti questioni afferenti l’applicazione dei regolamenti previdenziali emanati dalle Casse. Senza contare la spinta disgregante prodotta dalla legge di Bilancio 2019 mediante l’ampliamento del regime forfettario e la revisione delle cause ostative alla sua applicazione. Sul piano fiscale il dibattito tra i fautori della qualificazione dei redditi prodotti dalle Stp come redditi di lavoro autonomo e chi, al contrario, propendeva per l’inclusione tra i redditi d’impresa è stato risolto a favore di questi ultimi in virtĂš della considerazione che le Stp non rappresentano un genus societario autonomo ma vanno ricondotte alle forme societarie tipiche previste dal Codice civile, soggiacendo alla disciplina legale dettata per lo specifico modello societario prescelto. Ă stato agevole, quindi, per l’agenzia delle Entrate chiarire a piĂš riprese, da ultimo con la risoluzione 35/E del 2018 in tema di societĂ tra avvocati (Sta), che le Stp producono reddito d’impresa. La stessaAgenzia, con la risposta a interpello 128 del 27 dicembre 2018 ha coerentemente precisato che ÂŤi compensi corrisposti dalla Stp ai soci per le prestazioni d’opera effettuate siano da qualificarsi quali redditi di lavoro autonomoÂť. Nelle Stp (o Sta) in forma di societĂ di capitali o cooperative, quindi, il socio professionista titolare di partita Iva individuale potrĂ percepire i compensi relativi all’attivitĂ svolta emettendo fattura nei confronti della societĂ . I riflessi previdenziali Tale modello, tuttavia, potrebbe comportare problematiche rilevanti sul piano previdenziale: la doppia fatturazione delle medesime prestazioni professionali, infatti, potrebbe duplicare il contributo integrativo dovuto dal professionista, imputato sia sulle fatture emesse dalla Stp nei confronti del cliente finale che su quelle del socio professionista nei confronti della Stp. L’uso del condizionale è d’obbligo considerando che il quadro regolamentare definito dalle singole Casse di previdenza in tema di prestazioni effettuate dalle Stp risulta piuttosto eterogeneo, anche se riconducibile sostanzialmente a trĂŠ fattispecie: ⢠sistemi che non prevedono il versamento di alcun contributo integrativo, come in alcune professioni sanitarie; ⢠regolamenti che contemplano un meccanismo di “neutralitĂ ”, consentendo alla Stp di detrarre il contributo integrativo imputato dal socio professionista per prestazioni rese alla societĂ (è il caso di Inarcassa); ⢠regolamenti che prevedono il versamento del contributo integrativo sia sul volume d’affari della Stp che su quello dei soci professionisti, determinando di fatto una duplicazione del dovuto. Effetti distorsivi Quest’ultima modalitĂ rimane, purtroppo, la piĂš diffusa, producendo effetti distorsivi che ostacolano lo sviluppo degli studi professionali verso organizzazioni multidisciplinari e specializzate e allo stesso tempo incentivano la costituzione di strutture societarie estranee alla disciplina Stp che in alcuni comparti professionali sfuggono sia ai controlli deontologici degli ordini che alla stessa contribuzione alle Casse. Senza considerare che, a paritĂ di condizioni, non appare ragionevole il trattamento penalizzante riservato ai professionisti che esercitano la propria attivitĂ in forma Stp rispetto ai colleghi che optano per la forma singola o associata. Ancora piĂš paradossale sarebbe il caso di Stp multidisciplinari con la contestuale partecipazione di soci professionisti sottoposti a unica e a doppia contribuzione. Fortunatamente alcune Casse hanno avviato una riflessione volta a introdurre modifiche regolamentari per ridurre o inibire tali effetti distorsivi: in merito non appaiono giustificati i timori di coloro che temono una perdita di gettito da contributo integrativo. Eliminare la doppia contribuzione integrativa sulle Stp, infatti, non soltanto favorirĂ lo sviluppo di un modello piĂš moderno ed efficace rispetto alla tradizionale associazione professionale, ma genererĂ un vigoroso effetto antielusivo limitando la diffusione delle forme societarie non Stp. Un passaggio necessario a quasi io anni di distanza dal varo della Stp.
Il doppio contributo alla Cassa frena la crescita delle Stp
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