Coronavirus, pmi in trappola

La serrata delle attività produttive causata dal Coronavirus avrà effetti «pesanti sul sistema produttivo italiano. Il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, ha dichiarato nei giorni scorai che il 44% dei negozi non riaprirà più; secondo una ricerca del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ogni mese di lockdown comporta una perdita del pii tra gli 85 e 100 miliardi di euro; in una simulazione effettuata da Modefinance, Agenzia di Rating Fintech, le aziende con rating intermedio (il 65%’ delle pmi italiane) vedranno aumentare m modo esponenziale la probabilità di default. Secondo una ricerca del Cerved le imprese italiane perderanno più di 500 miliardi di fatturato, con cali drammatici nei settori del turismo (si registreranno perdite oltre 70%) e dell’automotive (più del 50%). Mentre, secondo una ricerca di Cribis, già nei prossimi tre mesi le pmi avranno grosse difficoltà a incassare i loro crediti e i pagamenti si allungheranno, con un impatto sul capitale circolante tra i 10 e i 19 miliardi di euro. Anche se è ancora un po’ presto per fare previsioni realmente attendibili, perché nessuno è ora in grado d’i dire se l’emergenza terminerà con l’estate o si trascinerà fino alla fine dell’anno o magari anche oltre, non c’è dubbio che l’impatto del lockdown sarà devastante per il sistema produttivo italiano dove il 99% delle aziende sono pmi. Si sta già rilevando un allungamento dei tempi di pagamento, inevitabilmente si moltiplicheranno chiusure e fallimenti e questo proprio mentre entrerà in vigore il nuovo codice della crisi che introduce procedure e regole molto più restrittive: mai riforma fu più intempestiva (per non dire sgangherata). Con il meccanismo di allerta, il cuore della riforma, ci si proponeva di incanalare le imprese lungo i binari di metodi previsionali ineccepibili, in grado di prevedere scientificamente una eventuale crisi di liquidità, in modo da farvi fronte tempestivamente, ed ecco che arriva uno tsunami che mette in fuorigioco il marchingegno messo in piedi da teorici del diritto che forse in un’azienda vera non hanno mai messo piede. Si è infatti venuta a creare una situazione surreale per cui gii amministratori di società, obbligati dai vari dpcm governativi e dalle esigenze di tutela della salute dei lavoratori a chiudere l’azienda, dovrebbero preoccuparsi di predi sporre adeguati assetti organizzativi, amministrativi e gestionali, capaci di prevedere l’arrivo di una crisi. E poi bilanci con cadenza trimestrale, da utilizzare come base per il calcolo degli indici di budget di tesoreria previsionali, da per il calcolo dell’indice Dscr. Per società quotate in borsa, Consob, Esmea ed Eba hanno avvertito revisori e consigli di amministrazione che le comunicazioni agli azionisti sugli indicatori di sofferenza sono fondamentali. Mentre l’azienda è chiusa bisognerebbe fare gli stress test? È come se il sindaco di una città nell’occhio di un ciclone emanasse un’ordinanza per obbligare i suoi concittadini a tenere puliti i marciapiedi. Follia pura. Quando il sistema economico tornerà a regime sarà talmente devastato che la metà delle pini, se dovesse applicare i criteri previsti dalla legge sulla crisi d’impresa, rischierà la procedura di allerta. Significherebbe la paralisi completa del sistema economico. L’esplosione a livelli mai visti della disoccupazione e delle chiusure aziendali, il fallimento di un intero paese. E buona parte della responsabilità ricadrà su chi ha previsto le regole demenziali sulla crisi d’impresa. Ciò nonostante il governo ha disposto soltanto una proroga parziale dell’entrata in vigore della riforma, dal 15 agosto 2020 al 15 febbraio 2021, lasciando però inalterati gli obblighi e gli adempimenti più gravosi, con la conseguenze che un eventuale default aziendale potrebbe tradursi tra qualche mese in una responsabilità patrimoniale degli amministratori. I quali saranno responsabili di non aver previsto o fronteggiato adeguatamente un’emergenza come quella che si è scatenata. Quindi risponderanno con il patrimonio personale dei debiti dell’azienda. Sembra un incubo: speriamo di svegliarci al più presto.

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