Un altro decreto avaro coi professionisti: bloccati i redditi di ultima istanza

Non è solo un “decreto Liquidità”. Il provvedimento emergenziale 23 del 2020 entrato in vigore nella notte fra mercoledì e giovedì è una nuova risposta del governo all’Italia piegata dal virus. Ma sconta alcuni limiti, in termini, soprattutto, di incrocio fra misure dall’ispirazione assai diversa. Nel senso che da una parte c’è la sospensione di tutto, di imposte e contributi come dei termini per la gran parte delle attività giurisdizionali — e nel primo caso si tratta in effetti di scelte che almeno trattengono la liquidità nelle esauste tasche dei cittadini. Però non mancano altre norme che modificano in forme ambivalenti il maxi decreto precedente, il “Cura Italia”. E nel caso dei professionisti generano il più paradossale degli effetti. Forse una beffa. Perché da una parte il decreto Liquidità chiarisce una volta e per sempre il perimetro applicativo dell’ormai famigerato reddito di ultima istanza. Si dirà: bene, così le Casse previdenziali, quella forense innanzitutto, che hanno dato un mirabile esempio di efficienza alla scalcinata telematica dell’Inps, potranno inviare con serenità i bonifici ai loro iscritti. E no: troppo facile. Perché la precisione millimetrica ha un risvolto sadico: visto che si elimina il diritto per chi non sia iscritto in via esclusiva alle Casse e che il destinatario non deve essere titolare di trattamenti pensionistici, la stessa Cassa forense ha dovuto, d’intesa con altri 20 enti previdenziali autonomi, sospendere l’erogazione per ricontrollare i requisiti. Un paradosso incredibile. Che suscita il legittimo sconcerto delle stesse istituzioni ordinistiche. Valga per tutti il tono di chi come Massimo Miani, presiede sì il Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti contabili, ma che, non foss’altro che per l’ormai consolidata alleanza col Cnf, veicola un disagio comune: «Le Casse erano già pronte a erogare il bonus grazie anche al lavoro svolto nei giorni scorsi da migliaia di nostri colleghi che hanno inviato le richieste per i loro clienti liberi professionisti, facendo i salti mortali per interpretare norme del tutto incerte. Ora tutto si ferma incredibilmente, con un ulteriore allungamento dei tempi per l’erogazione», fa notare Miani, «di cifre comunque insufficienti a sostenere concretamente centinaia di migliaia di liberi professionisti che, esattamente come milioni di altri lavoratori italiani, stanno patendo gli effetti dell’emergenza. Avevamo duramente criticato il Cura Italia per la clamorosa disparità di trattamento riservata ai professionisti iscritti agli Ordini professionali», chiosa amaramente il vertice del Cndcec. «ma quello che succede ora lascia davvero senza parole».

E in effetti è difficile aggiungerne altre. Tranne forse che nel caso di Cassa forense la beffa ha un peso persino triplicato, visto che si tratta dell’ente previdenziale più grande, che aveva raccolto il maggior numero di richieste, circa 130mila, e che però ora proprio per questo è costretto al lavoro revisionale più faticoso.

CNF: PATROCINIO A SPESE DELLO STATO, SI PAGHI

Naturalmente l’eccesso di zelo non è casuale: è lo Stato infatti a dover restituire i fondi alle Casse, e così ha cercato di rosicchiare qualche risparmio. Anelito discutibile, visto il dramma anche economico che devasta tutti, professionisti inclusi. In ogni caso va comunque ricordato come il decreto 23 contenga diverse misure di carattere fiscale non prive di impatto per i professionisti, seppur non risolutive quanto a sollievo dall’affanno materiale. Manca per esempio qualsiasi riferimento allo sblocco dei pagamenti per gli avvocati che hanno assunto incarichi di patrocinio a spese dello Stato. Si era trattato di una misura sollecitata dal Cnf come da tutti gli organismi della professione forense: l’Ocf ma anche l’Unione Camere civili e l’Aiga, che nelle ultime ore aveva elaborato un’ulteriore dettagliata proposta. Fino a ieri, quando il plenum del Cnf ha fatto ancora una volta propria la richiesta dell’intera avvocatura italiana con una delibera urgente in cui si invitano le «Autorità Giudiziarie dei Distretti di Corte di Appello a promuovere ogni più opportuna iniziativa finalizzata a garantire la liquidazione e il pagamento dei compensi spettanti agli avvocati per le prestazioni professionali rese in favore di parti assistite ammesse al patrocinio a spese dello Stato, e ai difensori di ufficio secondo quanto disposto dagli articoli 116 e 117 Dpr 115/ 2002». Il Cnf inoltre invita «il Ministro della Giustizia a stanziare le somme necessarie affinché gli Uffici territoriali possano a loro volta provvedere al pagamento immediato delle fatture già emesse e ancora inevase».

LE MISURE FISCALI: UN PO’ DI LIQUIDITÀ

C’è un’ambiguità persino nella norma con cui l’articolo 13 del decreto 33 sembrerebbe estendere anche ai professionisti l’accesso in deroga al fondo di garanzia per le piccole e medie imprese. Se non fosse che l’espressione “attività d’impresa”, quale la tutela dei diritti assicurata dall’avvocato evidentemente non è, lascia un’ombra anche su questo.

Poi certo, vengono sospesi i versamenti di ritenute d’acconto, Iva e contributi per tutti, anche per gli avvocati. Non con i tempi rimandati a fine anno di Cassa forense, però: il congelamento riguarda non solo il mese di marzo ma anche maggio e giugno, solo che si deve aver registrato un calo del 33% rispetto al 2019 e che poi, entro il 30 giugno, o si paga tutto in un’unica rata o si rateizza in 5 versamenti. Senza sanzioni e interessi, almeno. Stesso discorso per la possibilità di non assoggettare a ritenuta d’acconto le rare fatture incassate in tempi del genere ( sempre a condizione di non aver registrato nel 2019 ricavi o compensi superiori ai 400mila euro): a parte che non bisogna aver sostenuto, nel mese precedente alla fattura, spese per dipendenti, ma anche qui entro il 31 luglio si dovrà pagare, al massimo in 5 rate. Resta insomma un po’ di liquidità in tasca ora, ma poi il conto arriva.

PRATICA FORENSE E TIROCINI: LE DEROGHE

A parte il codice della crisi la cui entrata in vigore è differita e la nota sospensione dei termini in tutte le giurisdizioni ( ma con un regime diverso in ambito amministrativistico, come ricordato anche in altro servizio del giornale, nda), le poche note di un certo rilievo sono contenute piuttosto nell’altro decreto, il 22, dedicato alla scuola ma anche agli esami di stato professionali e ai tirocini. Sono sospese per 60 giorni dunque tutte le procedure, ma soprattutto è da considerare come positivamente svolto il semestre di pratica forense che ricade nel periodo di sospensione delle udienze ( che si conclude, come noto, l’ 11 maggio), anche se si è assistito a un numero di udienze inferiore al minimo. Chi si laurea in Giurisprudenza nell’anno accademico 2018/ 2019 ( anche a giugno prossimo) ottiene una riduzione del tirocinio a 16 mesi. Sempre nel periodo di stop all’attività giudiziaria sono infine sospese tutte le attività formative dei tirocini di cui all’articolo 73 del decreto 69/ 2013. Sarà poi competenza del Ministero della Giustizia predisporre con proprio decreto tutti gli strumenti necessari alla prosecuzione delle attività formative a distanza durante il suddetto periodo di sospensione.

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