Quota 100 in caduta libera: il flop di pensioni e assunti

L’ottimismo dell’annuncio smentito dai numeri, brusca ma m fondo annunciata la perdita di appeal per l’opzione pensionistica anticipata, cavalcata dalla Lega quando era al governo con i 5 Stelle. In caduta libera Quota 100 che esaurirà i suoi (modesti) effetti a fine 2021 senza interruzioni, come il governo giallorosso ha detto a chiare lettere nella premessa del Piano riforme inviato a Bruxelles e che finora è costata circa 4miliardi di euro (si dovrebbe arrivare a 8,3 miliardi nel 2020 ma difficilmente si spenderanno tutti). Impietosi i dati più aggiornati: a giugno (Sole 24 Ore) le richieste di pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 38 di contributi sono state 47.810, cioè nemmeno un terzo di quelle arrivate all’Inps nello stesso mese del 2019. Solo 113mila le domande (fonte Cgil) accolte nel 2019 contro le 327mila ipotizzate all’inizio della sperimentazione (fine 2018). Non va meglio, per la verità, a tutto il capitolo, anche ordinario, delle uscite anticipate (79.093, sempre a giugno, contro le oltre 95mila dello stesso periodo del 2019). Emblematico il caso di Opzione Donna, il canale di pensionamento anticipato riservato alle lavoratrici che permette loro di ritirarsi con 35 anni di contributi e un’età di 58 anni se dipendenti, o di 59 anni se autonome. In tutto il primo semestre del 2020 questa possibilità è stata scelta soltanto da 8.842 persone, per una riduzione su base annua superiore al 50%. Ma sono i dati su Quota 100 a fare più notizia, se rapportati all’enfasi mediatica e politica che aveva accompagnato la misura. Il Covid-19 ci ha sicuramente messo del suo frenando l’uscita di chi avrebbe, con Quota 100 e non solo, i requisiti previsti. Numeri e aggiornamenti, questo è certo, fanno a pugni con la tesi, spiegata anche in un libro da due esponenti leghisti del primo governo Conte come Massimo Garavaglia e Claudio Durigon, secondo cui al contrario Quota 100 i suoi effetti li avrebbe prodotti “comunque”. Come? Proteggendo dal contagio i pensionati che ne hanno usufruito e contribuendo alla riduzione del tasso di disoccupazione giovanile del Paese. In realtà, le cifre dimostrano il contrario. E questo vale non solo – come detto – per il fatto che la platea dei beneficiari è stata finora di gran lunga inferiore alle previsioni. A colpire, m negativo, è soprattutto il flop del ricambio generazionale insito nella “riforma”: di fatto è rimasto quasi lettera morta. Nella sanità, ad esempio, quota 100 prima della pandemia era stata raccontata come una vera e propria possibilità di fuga dal lavoro. Appena introdotta la norma, si ipotizzava – in base ai a calcoli sul presumibile numero di interessati – un’uscita di circa 4.500 professionisti medici su una possibile platea di circa 18 mila unità. Invece secondo i dati resi noti dai sindacati l’uscita anticipata ha riguardato solamente poco più di 1.000 camici bianchi. Con la pandemia, poi, è accaduto l’esatto contrario: per rispondere all’emergenza sanitaria, lo Stato ha quasi “precettato” i camici bianchi dando loro la possibilità di tornare in servizio e sospendendo l’incumulabilità prevista per coloro che erano andati in pensione anticipata. Insomma, l’andamento al ribasso di Quota 100 era nell’aria anche sul versante della staffetta generazionale. L’Osservatorio dei Consulenti del Lavoro, esattamente un anno fa, aveva stimato solo tre assunzioni ogni dieci pensionamenti. E già allora emergeva che un vero e pieno ricambio generazionale si sarebbe potuto realizzare solo in settori altamente specializzati, come quelli dell’elettronica e della meccanica dove il problema, ieri come oggi, rimane quello sollevato più volte da Confindustria: l’assenza di personale con competenze adeguate. Oggi gli osservatori concordano nel ritenere anche questo aspetto di Quota 100 lontanissimo dalla meta. La stima di Banca d’Italia, contenuta nel Bollettino di gennaio, quindi ben prima dell’esplosione della pandemia, parlava di un impatto negativo, nell’ordine di meno 0,4 punti percentuali, senza però esplicitare le ipotesi sul tasso di sostituzione. Più cauto l’Inps, secondo cui – sempre a gennaio 2020 – l’impatto sarebbe stato “lievemente positivo”. Di tutt’altro avviso l’economista Carlo Cottarelli, che in base ai dati dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, osserva che «il tasso di sostituzione degli andati in pensione con Quota 100 da parte di giovani lavoratori nel 2019 è stato del 40 per cento, pari a meno di un assunto ogni due pensionati. Un fallimento che pagano i giovani, altro che turnover». Ma perché, a parte l’emergenza Covid-19, un risultato così deludente? La ragione più ovvia è la penalizzazione economica oltre che il clima di insicurezza che da mesi circonda il futuro dell’occupazione. Quota 100, come Opzione Donna, sono molto vantaggiose in termini di tempo ma chi le sceglie finisce con il versare diversi anni in meno di contributi, ottenendo quindi un assegno previdenziale più basso di quello che avrebbe ricevuto se avesse continuato a lavorare. E l’entità del taglio non è per nulla trascurabile: in alcuni casi si arriva a sfiorare il 15%. La pandemia poi ha avuto un effetto molto più frenante di quello che un grande esperto di previdenza come Alberto Brambilla aveva ipotizzato: e cioè che la crisi economica innescata dal Covid-19 avrebbe potuto diventare una spinta per i pensionamenti anticipati con Quota 100 e Opzione Donna, perché la perdita di posti di lavoro e l’incertezza sul futuro avrebbero potuto indurre molte persone ad accettare un assegno più leggero pur di continuare ad avere un reddito certo. Al momento, però, succede il contrario. Domande ferme, cioè, e previsioni di una tendenza che per l’Inps nei prossimi mesi si accentuerà, con una diminuzione dei pensionamenti anticipati complessivi pari a 21mila unità. Se andrà così, il primo a beneficiarne sarà proprio l’Istituto di previdenza, le cui casse potranno finalmente respirare. Secondo l’ufficio studi della Cgil, il risparmio sulla spesa pensionistica potrebbe sfiorare i 3 miliardi di euro nel 2020. E c’è già chi è pronto a scommettere che i soldi risparmiati copriranno la nuova flessibilità in uscita su cui il governo sta già lavorando per cercare di ridurre l’effetto della riforma Fornero.

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