Il difficile finanziamento di pensioni, sanitĂ  e assistenza

La situazione del nostro Paese sotto i profili di finanza pubblica, occupazione e produttività non è delle migliori; cresciamo meno degli altri Paesi e siamo il fanalino di coda per tassi di occupazione e produttività. Tutto ciò significa che il rapporto debito pubblico/Pil, per via della debolezza del denominatore e sotto la minaccia di nuova spesa sociale, resterà a livelli preoccupanti e sarà a un tempo il limite allo sviluppo e alla nostra autodeterminazione.

Finora l’appartenenza all’euro, grazie alle accomodanti politiche monetarie della BCE, ci ha consentito di mantenere bassi i tassi sul debito e inferiori al nostro merito di credito, ma il rialzo dei tassi americani e la probabile fine del QE a metà del prossimo anno aumenteranno progressivamente il costo di finanziamento del nostro debito pubblico; a regime, considerando una vita media dei titoli di stato di circa 6 anni, un punto di aumento dei tassi di interesse costerebbe ben 23 miliardi.

Già per il 2018, chiunque sia al Governo dovrà mettere mano a una Legge di Bilancio non inferiore ai 20 miliardi (12,3 miliardi solo per disinnescare l’aumento dell’Iva). Purtroppo di tutto questo non c’è traccia nei ragionamenti dei partiti sia nel pre sia nel post elezioni. Per il quinto anno consecutivo, l’Approfondimento di Itinerari Previdenziali analizza le dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF e quelle aziendali relative all’IRAP anche ai fini delle verifiche di sostenibilità del sistema di protezione sociale italiano e della tenuta dei conti pubblici. Nel 2016 la spesa complessiva per pensioni, sanità e assistenza è stata di 451,903 miliardi di euro contro i 447,36 miliardi del 2015 (+4,5 miliardi pari al +1% circa). Una parte di questa spesa pari a 181,225 miliardi di euro (176,303 nel 2015), con una crescita del 2,75%, è finanziata da contributi sociali versati dalla produzione, mentre per coprire i costi per la sanità e l’assistenza sociale, non essendoci “tasse di scopo”, occorre attingere alla fiscalità generale. Per finanziare la spesa per la protezione sociale occorrono, oltre ai contributi sociali, tutta l’Irpef (ordinaria, regionale e comunale), l’intero importo di Ires, Isos e Irap; in pratica, tutte le imposte dirette. Ciò nonostante, mancano ancora circa 38,1 miliardi (erano 34,2 nel 2015 e 38,8 nel 2014) che dovranno essere reperiti utilizzando parte delle imposte indirette (Iva e accise). Quindi, per finanziare il funzionamento dell’Italia e il suo sviluppo, restano solo le residue imposte dirette.

Il nostro resoconto potrebbe finire già qui. Da questa prima fotografia appare immediatamente la grande difficoltà del nostro Paese a sostenere l’attuale welfare state. Paiono quindi stridenti le tante proposte formulate dai partiti in campagna elettorale di aumento delle prestazioni sociali, aumento delle platee beneficiarie di assistenza (REI e quattodicesima mensilità) o di introduzione di improbabili Redditi di cittadinanza o di dignità e aumenti indiscriminati delle pensioni minime. Tanto più che negli ultimi 5 anni (la precedente legislatura) le cose non sono affatto migliorate.

La spesa per assistenza finanziata dalla fiscalità generale è passata da 92,7 miliardi del 2013, agli stimati 112 di fine 2017 con un incremento annuo del 5,3%, poco sostenibile per un’economia fragile come la nostra. Nello stesso periodo, nonostante il risparmio di circa 76 miliardi di interessi sull’enorme debito pubblico grazie al QE della BCE, il debito è aumentato di oltre 215 miliardi, toccando il suo massimo a luglio 2017 con 2.308 miliardi, per poi scendere a 2.256 miliardi nel dicembre 2017 (con qualche artificio contabile che dovrà essere spiegato) e risalire subito a gennaio 2018 a 2.280 e a febbraio a 2.295 miliardi. Infine l’OMT, cioè il percorso di avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine, vale a dire il pareggio di bilancio strutturale, ha visto una serie di slittamenti dell’obiettivo inizialmente previsto, dal Governo Berlusconi al 2011.

Come si vede in tabella, in questi ultimi 5 anni, con vari provvedimenti si è arrivati con il DEF 2017, firmato da Gentiloni e Padoan al 2020 (+ 9 anni), prevedendo però non il pareggio ma lo scostamento massimo concesso dalla Commissione, pari a un deficit dello 0,25%. Se si vuole mantenere un welfare che possa garantire anche in futuro la coesione sociale e la copertura dei più deboli è fondamentale investire le poche risorse disponibili in ricerca, sviluppo e sostegno all’occupazione eliminando la poco efficiente “decontribuzione” a favore del “super ammortamento del costo del lavoro”; occorre anche, da un lato, il monitoraggio delle entrate fiscali e segnatamente l’Irpef e, dall’altro, un serrato controllo della spesa assistenziale. Mai come ora l’abusata immagine del Titanic ci pare la fotografia di un Paese, il nostro, che continua a suonare con vecchi strumenti e con una vecchia orchestra, nuova solo nelle livree.

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