Influencer morta per un intervento plastico, a processo il chirurgo di Alessia Ferrante

Foto da Instagram

BARI –  "Sono stato in silenzio per tre anni, non ho mai rilasciato una dichiarazione. Ora però sento di poter affermare che la giustizia potrà fare il suo corso e che Alessia, la mia Alessia su cui sono state dette tante cose alcune oltraggiose, potrà avere giustizia". Così, alla Dire, il padre Renzo Ferrante commenta il rinvio a giudizio disposto dal gup del tribunale di Bari, Anna de Simone, a carico di Francesco Reho, chirurgo plastico accusato di omicidio colposo "per aver cagionato la morte della paziente Alessia Ferrante, agendo in violazione dei doveri di prudenza, diligenza, perizia, nonché inosservanza dei protocolli sanitari su di lui gravanti quale esercente la professione medica di chirurgo plastico".

Il processo inizierà il 5 giugno 2024 e "ammetto di aver fatto una grande fatica nel trovare le parole giuste per spiegare alla famiglia i tempi così lunghi del nostro sistema giudiziario", dichiara Luigi Della Sala, legale della famiglia della vittima. Alessia, 37 anni influencer di grido originaria di Bisceglie (Barletta – Andria – Trani) aveva deciso di sottoporsi a un intervento per eliminare le "culotte de cheva ovvero accumuli di grasso nella zona tra la coscia e il gluteo", chiarisce l’avvocato. L’operazione, fissata il 10 aprile 2020, è avvenuta nel poliambulatorio specialistico "Reho M.D. Srl" a Monopoli (Bari). Qualcosa però è andato storto. "Dall’esame autoptico è emerso un sovradosaggio sia di un anestetico, la lidocaina, pari a 8,1 microgrammi per millilitro che rientra in un range tossico sia di un secondo anestetico somministrato alla paziente, la bupivacaina anche in questo caso prossimo a livelli di tossicità", ricostruisce Della Sala evidenziando che la quantità di farmaci usata "ha provocato l’arresto cardiocircolatorio nella donna e quindi la sua morte".

Oltre ai dosaggi c’è un’altra cosa che non torna al legale della famiglia Ferrante. "L’intervento è stato fissato il 10 aprile 2020 quando eravamo in pieno lockdown per la pandemia da coronavirus e quando il Dpcm del 24 marzo 2020 non autorizzava interventi non urgenti. Come mai il poliambulatorio era aperto?". Nell’udienza del 24 marzo dell’anno scorso, il giudice ha rigettato la richiesta di patteggiamento avanzata dal medico "ritenendo non congrua, per la gravità dei fatti, la pena proposta pari a un anno di reclusione", rende noto l’avvocato che con il collega Francesco Fabrizio difende la famiglia che si costituirà parte civile. "Aspetteremo altri 16 mesi ma sono certo che Alessia avrà giustizia", conclude il papà della 37enne.
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