Autoriciclaggio escluso se i beni non tornano nell’economia legale

Responsabilità da autoriciclaggio esclusa solo in caso di utilizzo diretto dei proventi del reato presupposto. E senza che vengano posti in essere comportamenti indirizzati a nasconderne la provenienza illecita. E poi: il prodotto, profitto o prezzo dell’autoricidaggio è del tutto autonomo da quello del reato presupposto e consiste nei proventi ottenuti dall’impiego del prodotto, profitto o prezzo del reato presupposto in altre attività (finanziarie, economiche, imprenditoriali, speculative). Sono queste le conclusioni cui approda la Corte di cassazione con due importanti sentenze della Seconda Sezione penale depositate ieri. La prima, la n. 3o399,circostanzia la clausola di esclusione prevista dal quarto comma dell’articolo 648 ter i del Codice penale. Una disposizione in base alla quale, osserva la Corte, il legislatore, dopo avere superato il dogma della non punibilità dell’autoriciclatore, ha però conservato «una ristretta area di “privilegio”, limitandola appunto ai due tassativi casi di cui al quarto comma: mera utilizzazione e godimento personale dei beni provento del delitto presupposto». La clausola allora, letta in questo modo, è coerente con l’obiettivo del nuovo reato e cioè quello di sterilizzare il profitto ottenuto con il reato presupposto, impedendo al colpevole sia di reinvestire nell’economia legale sia di inquinare il libero mercato compromettendo l’ordine economico con l’utlizzo di risorse frutto di delitti. L’essenza dell’autoriciclaggio sta dunque nel divieto di condotte indirizzate a non rendere tracciabili i proventi del reato presupposto, proprio perchè la tracciabilità, invece, impedisce il contagio dell’economia sana. Quanto alla definizione del perimetro del prodotto, profitto o prezzo dell’autoricidaggio, la sentenza n. 30401 chiarisce che non può coincidere con quello del delitto presupposto, visto che di questo profitto l’agente ha già goduto. Pertanto deve essere qualcosa d’altro e, in particolare, anche ai fini della confisca, deve consistere in quelle utilità economiche conseguite per effetto dell’impiego, sostituzione, trasferimento in altre attività dei beni che provengono dalla commissione del reato presupposto. In caso contrario, si presterebbe il fianco alla contestazione anche di una doppia confisca. E allora la sentenza annulla l’ordinanza del tribunale che aveva proceduto a un raddoppio dell’importo sottoposto a misura cautelare per il reato presupposto rappresentato dall’emissione di false fatture. Il tribunale aveva infatti correttamente identificato il profitto nell’importo dell’imposta evasa, ma poi aveva raddoppiato la cifra soggetta a confisca, evitando oltretutto di considerare che per l’autoriciclaggio non è sufficiente una condotta di ostacolo all’identificazione delle utilità del reato presupposto, ma serve anche il loro reimpiego.

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