Accertamenti al loro destino. In calo accordi e impugnazioni

Nel 2017 sono stati chiusi con il ricorso agli strumenti deflativi del contenzioso il 28% degli accertamenti emessi. In termini di valore tale percentuale scende a poco più del 13% del totale. Nel 2016 la definizione con il ricorso ai vari strumenti deflativi si era invece posizionata al 37%, mentre nel 2015 erano addirittura il 47% degli accertamenti emessi a essere chiusi con il ricorso agli strumenti di deflazione del contenzioso. Questi dati, assieme a tanti altri relativi alle attività di accertamento fiscale dell’anno 2017, sono contenuti nel consueto giudizio annuale sul rendiconto generale dello stato, pubblicato dalla Corte dei conti e comunicato ai due rami del parlamento lo scorso 26 giugno. I dati contenuti nel suddetto rendiconto mostrano anche una flessione, costante nel tempo, degli accertamenti impugnati dai contribuenti presso le commissioni tributarie. Nell’anno 2017 sono stati impugnati soltanto il 7% degli accertamenti emessi (il 14,05% se si considera il loro valore monetario) con un calo di due punti percentuali rispetto all’anno precedente e di ben sei punti rispetto al 2013. Il calo delle impugnazioni è già stato spiegato dall’amministrazione finanziaria come effetto della mediazione tributaria e del contributo unificato. Qualche dubbio al proposito pare più che legittimo. La tendenza a impugnare sempre meno da parte dei contribuenti può avere anche ragioni diverse e più profonde. Non ultimo un calo della fiducia riposta nella giustizia tributaria che spinge sempre più spesso i destinatari degli avvisi di accertamento ad accettare, obtorto collo, gli sconti proposti dalla legislazione tributaria o dagli uffici impositori, piuttosto che ricorrere agli incerti e costosi esiti del giudizio. Tornando al peso degli strumenti deflativi, la relazione della magistratura contabile contiene anche dei dettagli circa l’utilizzo di alcuni degli istituti oggi in vigore. L’accertamento con adesione rappresenta il 28% delle entrate da attività di accertamento nell’anno 2017. Il ricorso a questo strumento era stato notevolmente superiore negli anni immediatamente precedenti. Nel 2013, infatti, il contributo dell’accertamento con adesione alle entrate complessive da accertamento era stato addirittura del 45%. Valori piuttosto modesti per quanto riguarda invece il ricorso all’istituto dell’acquiescenza che nel 2017 ha interessato soltanto l’11% circa delle definizioni totali tramite deflativi e della conciliazione giudiziale i cui valori in termini percentuali non superano il 5%. I dati del 2017 sono comunque viziati, al pari di quelli dell’anno precedente, dalla presenza delle adesioni alla c.d. voluntary disclosure e da altri provvedimenti di carattere straordinario quali, per esempio, la chiusura delle liti fiscali di cui al dl 50 del 2017. Escludendo dunque i periodi d’imposta caratterizzati da provvedimenti normativi di natura eccezionale, il contributo degli istituti deflativi alle entrate da accertamento tributario si può valutare in termini percentuali con valori che si attestano attorno al 50% del totale. Per quanto riguarda invece la tipologia dei contribuenti, sono i grandi contribuenti i soggetti più propensi all’utilizzo degli istituti deflativi per la definizione degli accertamenti ricevuti. Nel 2017, infatti, queste tipologie di soggetti hanno utilizzato gli istituti deflativi per chiudere il 47% degli accertamenti ricevuti. Percentuali nettamente inferiori, poco sopra il 20%, sono invece quelle relative all’utilizzo degli istituti deflativi da parte delle imprese di minori dimensioni. All’interno della panoramica degli istituti deflativi e dei loro effetti in termini di definizione degli accertamenti e di contributo al gettito erariale un capitolo a parte è dedicato al ravvedimento operoso. In particolare la relazione annuale della Corte dei conti evidenzia come per effetto delle modifiche apportate all’istituto del ravvedimento operoso dalla legge n. 190 del 2014 sia oggi possibile procedere spontaneamente alla correzione degli errori commessi sulla base di un arco temporale più ampio rispetto al passato. Il nuovo «ravvedimento lungo» ha senza dubbio contribuito alla variazione in diminuzione del ricorso agli istituti deflativi misurata nell’ultimo biennio 2016-2017 rimuovendo sul nascere possibili fonti di accertamento. Un dato a sé è rappresentato inoltre dal c.d. ravvedimento indotto, ossia all’adesione da parte del contribuente alle c.d. lettere di compliance fiscale, i cui valori sono in continua crescita a partire dall’anno 2015. Per il 2017 il dato è soltanto stimato dalla Corte dei conti in 150 milioni di euro. Complessivamente nel corso del biennio 2016 -2017 il ravvedimento operoso spontaneo e quello indotto, si legge nel resoconto della magistratura contabile, hanno determinato versamenti riferiti ai periodi d’imposta dal 2013 al 2017 per un importo complessivo di 922,4 milioni di euro. In termini di risposta dei contribuenti alle comunicazioni di compliance molto elevato è risultato l’esito di quelle relative alle dichiarazioni Iva omesse o incomplete. In queste situazioni infatti, a fronte di oltre 250 mila comunicazioni inviate, sono stati oltre 208 mila i contribuenti che hanno ravveduto la loro posizione facendo registrare una percentuale di adesioni pari all’82% circa.

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