Governance e “nuovi” investimenti: due sfide cruciali per gli investitori istituzionali

In questi ultimi 13 anni, nonostante la lunga crisi che ha caratterizzato i mercati finanziari dal 2008 al 2013, il patrimonio degli Investitori Istituzionali, in particolare quelli dei fondi pensione negoziali e preesistenti, delle casse privatizzate e anche dei fondi di assistenza sanitaria integrativa, è aumentato dai 114,8 miliardi di euro del 2004, ai 237,2 miliardi di euro del 2017, con un incremento del 106,6%. 

Per quanto riguarda la previdenza complementare, secondo gli ultimi dati OCSE, il nostro Paese si classifica al dodicesimo posto per dimensioni di mercato (rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il PIL) dopo Danimarca, Olanda, Canada, Usa, Svizzera, Australia, UK, Svezia, Cile, Sud Africa. In Olanda, ad esempio, i fondi pensione hanno un patrimonio di 1.203 miliardi di euro, la Svizzera 704 miliardi; i primi 300 fondi mondiali per dimensioni hanno una patrimonializzazione di oltre 16.000 miliardi di dollari e il Gpfg (Government pension fund global) della Norvegia fa da solo oltre 800 miliardi di euro. 

Con oltre 160 miliardi di patrimonio i nostri fondi pensione iniziano ad avere una buona capitalizzazione e a essere un mercato interessante; se consideriamo anche gli altri investitori istituzionali, comprese le fondazioni bancarie, ci classifichiamo tra i primi 10 Paesi dell’area Ocse e non Ocse per patrimonializzazione. Anche i flussi annui da investire, tra nuovi apporti netti e titoli o mandati da reinvestire, iniziano a essere importanti avendo raggiunto la ragguardevole cifra di circa 20 miliardi per anno.

Assume quindi grande importanza la “governance” degli investitori istituzionali; una buona ed efficace governace consente la creazione di valore nel lungo periodo attraverso procedure codificate che consentono rapide decisioni tali da beneficiare delle opportunità di breve periodo senza penalizzare gli obiettivi di lungo termine, agendo in maniera efficiente in un contesto di rischi in rapida evoluzione, adattandosi con efficacia ai mutamenti sempre più frequenti dei mercati. Le performance finanziarie e quindi i “nuovi investimenti” rappresentano un fondamentale, se non il principale banco di prova, per gli amministratori degli enti di previdenza. I rendimenti ottenuti, infatti, permettono innanzitutto di garantire le “promesse” verso gli iscritti e mantenere gli equilibri di lungo periodo, ma rappresentano sempre più anche un’importante leva di marketing verso nuovi potenziali aderenti al welfare di primo pilastro e a quello complementare anche in vista dei nuovi “PEPP”.

Nel 2017 i rendimenti complessivi per singola tipologia di investitore, si sono mantenuti stabili rispetto al biennio 2015/16 con variazioni decimali, ma decisamente in calo rispetto al 2014 e ai precedenti anni (tabella 1) e anche molto vicini ai rendimenti obiettivo che, in, passato erano stati superati di gran lunga. In effetti il 2016 si era chiuso con una media quinquennale del Pil pari a 0,514%, un’inflazione pari a – 0,1% e un TFR al netto della tassazione pari a 1,50%; nel 2017 tali indici si sono attestati rispettivamente a circa 0,431% per la M5YPIL (entrano in media i Pil negativi del 2012 – 1,48% e 2013 – 0,54%); 1,2% per l’inflazione e a 1,70% per il TFR.

Nel 2018 proseguirà, anche se moderatamente, il rialzo dei rendimenti obiettivo, mentre è probabile che rimanga invariata o con rialzi decimali, la situazione dei tassi d’interesse del fixed income, con prezzi delle obbligazioni e dei titoli di Stato ai massimi. Situazione resa ancora più difficile dal rischio di un aumento dei tassi sia per la fine del QE della BCE sia per la nuova strategia di aumento dei rendimenti della FED di Jerome Powell, alla luce degli ottimi risultati sull’occupazione (tasso di disoccupazione poco sopra il 3%% in agosto 2018) e a fronte della notevole crescita dei salari USA (oltre il 2,5%). Sull’altro fronte troviamo i mercati azionari molto volatili a causa della crisi commerciale legata alla “guerra dei dazi” scatenata dal presidente Trump e della situazione geopolitica con il risultato di previsioni meno performanti rispetto al passato.

Tabella 1 - Rendimenti a confronto

Relativamente ai fondi pensione, gli unici che presentano i rendimenti anche per ogni singola linea di gestione, se anziché valutare il risultato complessivo spostiamo l’analisi sulle singole linee di investimento, vediamo (tabella 2) che, relativamente al dicembre 2017, alcune linee, segnatamente quelle garantite, obbligazionarie e qualche obbligazionario misto, hanno segnato risultati addirittura negativi o comunque al di sotto dei “rendimenti obiettivo”.

La situazione, come avevamo previsto, si è molto deteriorata nei primi sei mesi del 2018 (tabella 2.b) con tutte le linee che presentano rendimenti negativi cosicché la distanza tra i rendimenti obiettivo (segnatamente il TFR per il sistema fondi pensione) si allarga ulteriormente e inizia a erodere il buon margine accumulato in questi ultimi 10 anni.

I rendimenti delle forme pensionistiche complementari

Occorre quindi mettere in campo nuove strategie sia organizzative sia d’investimento. In questa duplice sfida, il controllo dei costi, l’assetto della governance, le strategie di investimento adottate e la selezione dei gestori rappresentano leve competitive di prim’ordine per il mercato e per gli iscritti. Soluzioni “interne” che, interagendo con le variabili esogene (andamento dei mercati, legislazione, ecc.), determinano i risultati sui quali amministratori e gestori saranno valutati.

Un’importante partita legata dunque proprio alla “modernizzazione” della governance, che, come visto, deve adattarsi a nuove situazioni e nuove sfide: si pensi ai PEPP di prossima introduzione anche sul mercato italiano che genereranno un’ulteriore concorrenza con le altre forme previdenziali di secondo pilastro siano esse individuali o collettive, ma anche all’eventuale introduzione della flat tax o dual tax, che potrebbe portare in “dote” l’eliminazione di tutte le detrazioni e deduzioni, con riflessi pesanti sulle adesioni e sui versamenti che, a quel punto, non godrebbero più di alcun incentivo fiscale. O, ancora, alle mutazioni del mercato del lavoro che genera nuove tipologie di impiego diverse dal classico posto fisso, una maggiore dinamicità nei cambi di attività con frequenti passaggi tra differenti comparti merceologici (ormai la durata media del TFR è inferiore ai 6 anni). Di qui, la necessità di proposte innovative tali da soddisfare le nuove esigenze di un welfare sempre più dinamico offrendo servizi, assistenza telefonica e internet e ulteriori forme di tutela, tra cui la fondamentale e ancor poco perseguita copertura per la non autosufficienza.

Ci sono poi le nuove sfide legate a investimenti nell’economia reale domestica e quelle relative a nuove tipologie di mandati e di investimenti diretti in asset più rischiosi rispetto ai tradizionali in obbligazioni, titoli di stato e qualche azione. Sfide che richiedono ai soggetti partecipanti alla governance di questi maggiore efficienza, una più ampia preparazione professionale e  una riduzione dei tempi decisionali fondamentali soprattutto per le strategie di investimento. D’altra parte, occorre poi una differente “visione” e interpretazione dei costi per i servizi di gestione dei patrimoni, per la consulenza e per il controllo, che devono considerare il valore aggiunto dei gestori sempre più impegnati in nuove strategie sia negli investimenti tradizionali, sia in quelli alternativi e di sostegno allo sviluppo delle singole categorie e del Paese. 

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