Società tra professionisti alla prova delle rimanenze

Applicazione del principio di competenza non facile per le Stp. Queste società, se costituite in forma di società di persone odi capitali, devono determinare il risultato dell’esercizio, e di conseguenza il reddito fiscale, applicando il principio di competenza anziché quello di cassa. Questo comporta un profondo cambiamento di mentalità ma, innanzitutto, un cambiamento organizzativo. L’applicazione del principio di competenza comporta che tutte le fatture di acconto emesse e incassate non costituiscono «compensi», ma «debiti»: pertanto, non si contabilizzano in avere del conto economico (compensi), ma in avere dello stato patrimoniale (debiti) e sono stornati quando la prestazione è ultimata. Al contrario, una prestazione ultimata alla fine dell’esercizio, ma non ancora fatturata, genera ricavi tassati, anche se la fattura sarà emessa nell’anno successivo e, pertanto, confluirà nel volume d’affari di tale annualità: questo significa divergenza tra ricavi imputati nel conto economico, rilevanti ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, e volume d’affari Iva. I problemi più rilevanti si presentano a fine esercizio, quando si deve stabilire se le prestazioni sono ultimate e costituiscono ricavi che rilevano anche fiscalmente. Invece, le prestazioni in corso alla fine dell’esercizio, non ultimate, sono «sospese» e i relativi costi sostenuti a tale data devono essere «sospesi»: si applicano l’articolo 2426 n.9del Codice civile e il principio contabile Oic 13 Rimanenze e, fiscalmente, l’articolo 92, comma 6, Tuir. Il professionista deve quantificare le proprie ore, valutandole al costo, così come quelle dei collaboratori e tutti i costi che hanno concorso a determinare il costo della prestazione in corso: è indispensabile la conoscenza del principio Oic 13 perla sua applicazione alle «rimanenze di servizi», tenendo conto delle specificità dell’attività professionale. Il problema della valutazione delle rimanenze riguarda tutte le imprese che prestano servizi, ma può essere particolarmente delicato perle attività professionali: in molti casi, le maggiori criticità nella valutazione delle rimanenze di fine esercizio si riscontrano proprio con riferimento alle prestazioni di servizi che lasciano «tracce», meno evidenti rispetto ai beni. Innanzitutto, si devono impostare contratti chiari perché non c’è dubbio che, anche ai fini fiscali, è determinante il contenuto del contratto stipulato con la clientela, che deve individuare il momento di ultimazione di un servizio, per evitare contestazioni. Per esempio, un avvocato che difende un cliente in giudizio dovrebbe precisare nel contratto se, dopo il primo grado, la prestazione è ultimata: questo, anche se poi si passa al grado successivo. In molti casi una prestazione complessa può essere suddivisa in più prestazioni, che originano distinti ricavi e che possono anche rilevare in esercizi diversi. Inoltre, continuando nelle ipotesi, ci sono prestazioni di servizi ultrannuali che impongono il rispetto di regole contabili di non facile applicazione da parte di professionisti non avvezzi all’applicazione del principio di competenza: si applicano il principio Oic 23 e l’articolo 93 del Tuir. In definitiva, i professionisti che scelgono di svolgere l’attività in forma societaria devono organizzarsi dal punto di vista contabile-amministrativo ma, ancor prima, cambiare abitudini: per esempio, prevedendo il monitoraggio delle ore impiegate perle prestazioni che, con riferimento a quelle non ultimate, devono essere quantificate alla fine dell’esercizio, con inevitabili conseguenze in caso di verifiche.

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