Come cambio il lavoro con lo smartphone

Essere rimpiazzati da un robot. Più forte, veloce e forse anche più intelligente. Dall’inizio della rivoluzione industriale uno dei più grandi timori dei lavoratori è quello di diventare inutili, sostituiti da una macchina in grado di svolgere meglio qualsiasi tipo di compito. Soprattutto ora che i robot (e non solo) sono dotati di intelligenza artificiale. Eppure il rapporto tra queste tecnologie e il mondo del lavoro non sarà solo distruttivo.

Una ricerca condotta dall’azienda di consulenza Pwc e pubblicata a luglio di quest’anno ha analizzato il caso della Scozia. Qui l’ingresso nell’economia dell’intelligenza artificiale cancellerà 554mila posti di lavoro entro il 2037, ma porterà alla creazione di altri 558mila. Un saldo positivo di circa 4mila occupati. Alcuni lavori scompariranno, altri verranno creati ma molti saranno semplicemente trasformati. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale possono coinvolgere anche professioni che mai avrebbero pensato di servirsi di questi strumenti, soprattutto da quando non servono computer potenti per utilizzarli. Basta lo smartphone che si tiene in tasca. Per mettere un piede in questo futuro, noi di Liberi Tutti abbiamo seguito tre professionisti nelle loro attività, così da capire come un telefono dotato di intelligenza artificiale possa cambiare il modo di lavorare. I soggetti scelti per l’esperimento svolgono lavori molto diversi tra loro. C’è una dietista, un fotografo e un disegnatore. ll dispositivo utilizzato è il Huawei Mate 20 Pro, la punta di diamante tra gli smartphone del colosso cinese. Il test inizia con Caterina Cellai, dietista del Centro Medico Sant’Agostino. Una delle funzioni del Mate 20 Pro è la possibilità di riconoscere i grammi e le calorie di un cibo inquadrandolo con la fotocamera. L’intelligenza artificiale non solo riconosce la pietanza che si trova davanti alle lenti ma stima anche il suo volume e quindi ne misura il peso. Per questa prova ci siamo trasferiti sui tavoli di un locale di Milano, in tempo per un aperitivo. ll cibo non riesce ad arrivare nel piatto che subito viene fermato dalla fotocamera. Mela: 162 grammi e 87 kcal. Mini Hamburger 53 grammi e no kcal. «È una grande opportunità. Le persone — afferma Caterina Cellai — possono rendersi conto di quante calorie stanno ingerendo. Ora ad esempio abbiamo il tavolo pieno di finger food. Ci sembra di mangiare poco ma probabilmente stiamo assumendo il triplo delle calorie che mangeremmo rispetto a una cena composta da 8o grammi di pasta e un secondo». La funzione di riconoscimento delle calorie non è ancora tarata alla perfezione. La fotocamera dello smartphone non è riuscita a riconoscere il frutto della passione. Per tutta la sera si è ostinata a identificarlo come una rutabaga, un tubero sudamericano simile a una rapa. «La direzione verso cui andare è quella di riconoscere ricette sempre più complesse. C’è però un rischio da considerare. Questo strumento può essere ottimo per aiutare una persona a dieta a rendersi conto di cosa mangia per) non deve diventare un’ossessione. Va bene controllare le calorie ma anche in questo serve equilibrio». Sempre di sera, sempre Milano. Nella seconda prova l’intelligenza artificiale viene utilizzata in un ambito molto apprezzato dai consumatori: la foto- grafia. Ad accompagnarci in questo test c’è Roberto Tomesani, direttore dei corsi di fotografia all’Istituto Europeo di Design e fondatore di Tau Visual. Come sfondo due quartieri: Isola e Navigli. In mezzo tante sfide, dovute soprattutto alla luminosità scarsa e alle lucidi tanti tipi che attraversano le lenti della fotocamera. Qui sono due le applicazioni basate sull’intelligenza artificiale. Lo smartphone, come per le calorie, è in grado di riconoscere il soggetto che ha davanti e questo gli permette di ottimizzare in automatico i parametri di scatto: «Questa fotocamera — spiega Roberto Tomesani — ha un comportamento molto adattivo. C’è una leggera levigazione della grana del soggetto, in pratica viene compattata la resa dei piccoli particolari. La sensazione finale però è realistica, positiva». Il secondo fronte in cui si vede l’intelligenza artificiale offre spunti più creativi. Con la modalità Ai Color la fotocamera riprende tutto in bianco e nero, tranne gli esseri umani. Questi vengono riconosciuti e riportarti a colori. «E sicuramente un effetto divertente. Forse non amato dai professionisti ma si trova abbastanza nella fotografia commerciale». Il terzo test ha come protagonista un panda. Non uno di quelli in carne e pelliccia ma un pupazzo. Huawei Mate 20 Pro supporta infatti l’app 3D Live Maker, in grado di creare modelli a tre dimensioni di oggetti reali. Tutto avviene grazie al dot projector, un sensore in grado di proiettare oltre 3omila punti che viene usato per il riconoscimento facciale. Questo scanner tridimensionale riconosce i volumi di un oggetto, salva il modello e poi permette di animarlo in piccoli video con dei set predefiniti. La prova di questa funzione è avvenuta con i ragazzi del Racoon Studio, un gruppo di illustratori specializzati in animazioni perla pubblicità. Anche qui le potenzialità ci sono tutte, come commenta Pietro Polentes: «In pochi minuti abbiamo scansionato il pupazzo di un panda e con la fotocamera lo abbiamo inserito in ambiente reale. Potrebbe essere interessante per il nostro lavoro. Penso alle aziende, mentre si tiene una conferenza si potrebbe usare questa applicazione per prendere la propria mascotte e farla interagire con il pubblico». Per migliorare questa tecnologia mancano ancora alcuni passaggi. «È impressionante la qualità della scansione. Ora si dovrebbe pensare a come dare la possibilità agli animatori di muovere il soggetto esattamente come vogliono, non solo con dei movimenti già registrati. Si potrebbe anche trasferire il modello 31) in altri software, così da creare animazioni ancora più avanzate». Trasformazioni. Compiti risolti più rapidamente e con più efficacia di quanto farebbe un essere umano. L’intelligenza artificiale è anche questo, la difficoltà è quella di capire quali competenze servono per non diventare obsoleti e essere tagliati fuori dal mercato del lavoro. Nel film La fabbrica di cioccolato diretto da Tim Burton il padre del protagonista Charlie Bucket perde il suo lavoro in fabbrica come avvitatore di tappi sui tubetti di dentifricio perché sostituito da una macchina. Appena il braccio meccanico di questo robot si rompe, l’azienda lo assume di nuovo. Questa volta come manutentore della macchina che avvitai tappi.

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