In fuga da Cabo Delgado, respinti dalla Tanzania

ROMA – “Le testimonianze sono tutte simili, da mesi: le persone che fuggono dalle violenze di Cabo Delgado arrivano in Tanzania; vengono trasferite in un centro dove vengono schedate e poi riaccompagnate sul ponte che fa da confine tra i due Paesi. Lì viene loro detto semplicemente che non è permesso entrare in Tanzania e che devono tornare in Mozambico”. A parlare è Margarita Loureiro, capo uffico dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) nella provincia di Cabo Delgado, oltre 82mila chilometri quadrati ricchi di giacimenti naturali nell’estremo nord del Paese.

L’agenzia Dire la raggiunge telefonicamente dopo che l’Unhcr ha denunciato casi di respingimenti al confine di persone che fuggono dalla regione nel Paese vicino.Cabo Delgado è parzialmente controllata da milizie di ispirazione jihadista note localmente come Al Shabaab, che si autodichiarano affiliate al gruppo Stato islamico dall’agosto scorso, quando si sono impadronite di Macimboa da Praia, snodo portuale della provincia. Da questa località i miliziani conducono attacchi in tutta la regione. Il 24 marzo hanno attaccato Palma, hub strategico dal settore estrattivo dove vivono numerosi cittadini stranieri, per lo più dipendenti delle multinazionali che hanno investito milioni di dollari nello sfruttamento dei giacimenti di Cabo Delgado.

Secondo gli ultimi comunicati diffusi dall’Unhcr, sono 11mila le persone fuggite da Palma, a piedi e in barca. Sarebbero invece centinaia, il loro numero non è stato ancora confermato esattamente, i civili che hanno perso la vita nell’attacco. L’assedio della città è terminato il 30 marzo, con la ripresa da parte delle forze armate regolari mozambicane dopo diversi giorni.Loureiro, che è di base nella capoluogo Pemba, circa 350 chilometri a sud di Palma, dice che “nelle ultime due settimane sono oltre 1.000 le persone giunte qui che hanno denunciato di essere state rimpatriate contro il loro volere dalla vicina Tanzania”. Secondo la responsabile, l’Unhcr ha iniziato a notare le prime “irregolarità” alla frontiera già l’anno scorso, al punto che “nel dicembre 2020 venne effettuata una visita di monitoraggio al confine grazie alla quale si riuscì a documentare sul posto numerosi casi di respingimenti forzati”.Loureiro evidenzia che questa situazione non sembra essersi fermata dopo l’attacco di Palma, che ha intensificato il flusso di persone in fuga, anche verso nord oltre confine. “Continuiamo ad ascoltare testimonianze di persone che dal punto di confine di Mtambaswala, in Tanzania, vengono costrette ad attraversare il ponte che collega i due Paesi fino alla frontiera di Negomano, sul versante mozambicano”. La dirigente dell’Unchr ribadisce che l’Alto commissariato “continuerà a raccogliere testimonianze, che a oggi ci vengono sia da persone rimpatriate che da ufficiali di frontiera” e monitorerà la situazione.

Loureiro rivolge anche un appello alla Tanzania. “Vorremmo ricordare che tutti i Paesi membri della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e della Convenzione dell’Unione Africana del 1969 sullo stesso tema sono tenuti a rispettare i principi chiave di questi documenti: quello di accesso al sistema di asilo e quello cosiddetto di ‘non refoulment’, ovvero il principio secondo il quale i rifugiati non possono essere rimandati in Paesi dove esiste una concreta minaccia per le loro vite”.
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