Di Lonardo: “La gestione delle maxi-emergenze da ustioni va migliorata”

ROMA – ‘C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones’ cantava Gianni Morandi nel 1966. Oggi, a distanza di 55 anni, siamo certi che il cantante di Monghidoro rivolgerebbe parte del proprio sentimento d’amore anche ai medici, agli infermieri e agli operatori sanitari che per oltre un mese lo hanno curato alle mani e alle gambe, gravemente ustionate a causa di un incidente riportato mentre lavorava i suoi terreni in campagna.

Gianni Morandi, 76 anni, eterno ragazzo, è solo uno dei 1.500 pazienti ricoverati ogni anno nei Centri ustioni di tutta Italia. Sono invece migliaia le persone non ricoverate e gestite in strutture anche non ospedaliere.

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L’alcol è il maggiore agente ustionante (29,54%), seguono la fiamma (23,95%) e i liquidi (22,55%). Percentuali più basse per gli agenti chimici (2,79%) e l’elettricità (2,20%). Il 18,96% rientra nella categoria ‘altro’. L’abitazione è il luogo dove si registra il numero più elevato di incidenti (79%), poi il lavoro (7%)e gli incidenti stradali (4%). Nella categoria ‘altro’ rientra il restante 10%. Anche i pazienti ustionati hanno dovuto fare i conti con la pandemia da Coronavirus, che da oltre un anno sta mettendo sotto pressione il nostro servizio sanitario nazionale. L’agenzia Dire ne ha parlato con il professor Antonio Di Lonardo, direttore del Centro grandi ustionati di Pisa e presidente della Società italiana ustioni (Siust). ‘Da quando è scattata l’emergenza- ha detto- come Società ci siamo preoccupati innanzitutto di tutelare i malati ricoverati presso i centri ustioni. Per fare questo abbiamo dovuto imporre ai nostri direttori generali un vademecum che indica come comportarsi in caso di arrivo di ustionati già dichiarati positivi o da valutare o meno se fossero positivi. Abbiamo escluso la possibilità che pazienti positivi giungano nei nostri reparti perchè metterebbero a repentaglio la vita dei pazienti ricoverati che sono molto instabili e fragili dal punto di vista immunitario. Per questo abbiamo deciso di ricoverare questi pazienti nelle strutture adibite al controllo di quelli covid positivi e saremo noi ad andare da loro ad operarli, a curarli e a medicarli laddove ce ne fosse bisogno. Un fatto già avvenuto per due persone positive, che sono state curate ed operate presso strutture covid attrezzate anche di sala operatoria’.

Qual è la mission della Siust? ‘La mission è piuttosto complessa. Il primo punto che vorrei mettere come cappello a tutte le altre attività è quello di migliorare la comunicazione con le nostre istituzioni. Mi riferisco, in particolare, ai ministeri della Salute, dell’Istruzione e dell’Università, oltre alla Protezione civile e alla sanità militare. Se manca il coordinamento tra noi e loro, non avremo mai la possibilità di pianificare e di standardizzare tutto quello che deve essere fatto’.

LA PREVENZIONE

‘Al primo posto del mio programma c’è il potenziamento e l’arricchimento del programma di prevenzione. Sono troppi gli incidenti che avvengono in ambiente domestico, quasi l’80%, e non si fa troppo per pubblicizzare campagne di promozione per prevenire questo tipo di trauma. È dunque necessario un impegno delle tv e della stampa nazionale. Vanno implementati anche i sistemi di sicurezza nelle abitazioni: mi riferisco agli impianti, alle bombole di gas che ancora oggi sono veri e propri ordigni nelle case delle persone. Particolare attenzione va inoltre data alla conformazione dei dispositivi elettrici. I bambini vanno educati a non giocare con il fuoco o a farlo ma in maniera sicura. Si tratta di un programma da realizzare con la collaborazione del ministero dell’Istruzione già dalla scuola elementare, perchè i bimbi vanno educati da subito. Infine, va disincentivato l’uso dell’alcol. I miei predecessori hanno fatto moltissimo per arrivare a questo tipo di obiettivo ma non si è mai riusciti ad obbligare le aziende produttrici delle bottiglie d’alcol a rendere i contenitori più sicuri. Perchè oggi come oggi queste bottiglie sono bombe messe in vendita e a disposizione di tutti, anche dei più piccoli’.

IL POTENZIAMENTO DEI CENTRI USTIONI

‘Per quanto riguarda il potenziamento dei centri ustioni va sfruttata l’occasione che ci dà l’Europa. Con le risorse del Recovery plan, il piano di resilienza, sono previsti diversi miliardi per il potenziamento e l’aggiornamento delle strutture ospedaliere. Bisogna cercare di inserirsi in questo filone per sfruttare la possibilità di aggiornare anche i nostri centri ustioni e di renderli più omogenei sul territorio nazionale e compatibili con quanto previsto dagli standard europei. Quindi, idoneità strutturale e impiantistica adeguata, come ad esempio gli impianti di climatizzazione e tutti quelli specifici per il paziente ustionato. Non ci sono pazienti che hanno le stesse esigenze dei nostri malati. Il paziente ustionato è un paziente particolarissimo, che deve essere gestito in una struttura realizzata ad hoc per lui. Gli va assicurata un’assistenza multidisciplinare, perchè non si può curare un malato del genere con una sola figura professionale. Occorrono anestesisti, animatori, chirurghi, fisioterapisti, infermieri aggiornati e preparati alla sua gestione, oltre a figure come psicologi e infettivologi. Dunque, una catena di professionisti che deve girare intorno al paziente. Abbiamo anche la necessità di risorse umane adeguate, perchè ci sono carenze di medici, di infermieri ed è necessaria una sufficiente e adeguata disponibilità di attrezzature, di presidi sanitari e di dispositivi medici carenti già nella gestione della quotidianità dei pazienti ustionati. Figuriamoci cosa può accadere in casi eccezionali’.

IL SOSTEGNO AI PAZIENTI PER L’ASSISTENZA POST OSPEDALIERA

‘Questi pazienti devono essere seguiti per almeno un paio di anni prima di poter stabilizzare le proprie cicatrici e riprendere una completa funzionalità dei distretti danneggiati. Devono tornare alla vita normale e per questo occorre un lento riadattamento che dura, in media, fino a 2 anni. Dopo la dimissione, i nostri pazienti sono abbandonati al loro destino. Il territorio nazionale è estremamente disomogeneo per quanto riguarda le cure erogate a questi malati. C’è chi fa pagare il ticket, chi fornisce cure gratuite, chi ancora si basa sul reddito: c’è una grande confusione e molti di questi pazienti, anche in condizioni meno abbienti, si trovano a dover affrontare spese insostenibili e si lasciano andare alla peggiore delle evoluzioni delle proprie cicatrici, che molto spesso li rende non solo alterati morfologicamente ma anche incapaci di svolgere attività lavorative. Su questo aspetto vorrei coinvolgere le associazioni dei malati, tra cui l’Osservatorio delle malattie rare (Omar): queste patologie vengono inquadrate tra quelle rare perchè sono pochi quanti ne soffrono ma dobbiamo farle riconoscere anche dal punto di vista funzionale. I malati ustionati dovrebbero infatti poter usufruire dei vantaggi previsti per coloro che hanno malattie rare. E anche i centri ustioni dovrebbero essere riconosciuti tra i centri che curano le malattie rare, perchè normalmente da noi vengono trattati pazienti con rare sindromi dermatologiche: mi riferisco alla sindrome di Stevens-Johnson, alla sindrome di Lyell, all’epidermolisi bollosa o al pemfigoide bolloso, tutte patologie che espongono ampie superfici corporee del paziente e le rendono ingestibili altrove se non nei centri ustioni’.

MIGLIORARE LA GESTIONE DELLE MAXI-EMERGENZE DA USTIONI

‘Dopo un anno di permanenza qui a Pisa mi sono dovuto imbattere nella gravissima emergenza determinata dall’incidente di Viareggio. È stata un’occasione per me importante per capire quanto siamo indietro nella gestione di queste maxi emergenze. La maxi emergenza con un gran numero di ustionati non è paragonabile alle altre maxi emergenze, con pazienti che riportino, ad esempio, fratture o politraumi dopo alluvioni o crolli di palazzi. Mentre un po’ tutti i nosocomi sono in grado di gestire il politraumatizzato, sono invece poche le strutture in grado di farsi carico dell’ustionato. Per cui avremo un intasamento delle poche strutture nazionali e l’incapacità e la paralisi di poter curare queste persone. A Viareggio ci sono stati 36 feriti gravi. I soccorsi sono scattati molto bene, rapidamente, tempestivamente. Poi però, quando si è trattato di prendere decisioni adeguate a questo tipo di malato, cioè cosa ha, fare una diagnosi di precisione, stabilire dove mandarlo, come trasferirlo e cosa fare subito, ci si è fermati o, quantomeno, la risposta è divenuta insufficiente perchè non si è stati capaci di fare un triage corretto proprio perchè manca la formazione. I soccorritori e molti dei medici che studiano non hanno idea di cosa sia il paziente ustionato. La colpa non è loro ma della carenza di insegnamento che non viene fatta costantemente in tutte le università: non viene fatta durante il corso di laurea dei medici, durante i corsi di specializzazione, nella formazione degli infermieri o nella formazione dei fisioterapisti. Dunque, alla fine ci si trova impreparati, non si sa gestire, non si sa cosa fare e i malati vanno ad intasare gli ospedali anche in maniera non congrua, perchè nella nostra esperienza sono arrivati pazienti quasi tutti in fin di vita. E’ emerso inoltre che mancano le strutture tecnologiche: non c’è alcuno sviluppo sulle tematiche informatiche. Bisogna invece collegarsi con gli smartphone, con gli Ipad, con tutto ciò che oggi abbiamo facilmente a disposizione e collegarsi con gli esperti. Sul posto dell’incidente, il soccorritore che non sa cosa deve fare deve poter consultare un tablet, una applicazione che gli dica quale comportamento tenere, a chi rivolgersi, dove sia il centro più vicino. Il soccorritore deve essere in grado di mandare le foto allo specialista che le valuterà in tempo reale. Saprà inoltre se lo deve ricoverare, dove e quando. Tutte queste cose, però, mancano e non si capisce perchè non vengano sviluppate e messe a disposizione di chi è addetto al soccorso. Abbiamo poi notato che l’ospedale sede di centro ustioni va in tilt. Questo accade quando arrivano, sette, otto, dieci pazienti gravi: l’ospedale va in confusione perchè esaurisce rapidamente i materiali e non c’è subito un ricarico degli stessi. Succede un dramma anche nella struttura. Anche un ospedale come il nostro, che è molto attrezzato e che ha delle risorse immense, va in seria difficoltà: mancano il sangue, i farmaci, le medicazioni e i liquidi da infondere. Si va subito in grave difficoltà e questo non ce lo possiamo permettere’.

IL RUOLO DEL BARDA

‘Io vivo in Toscana. Per arginare e per fronteggiare le emergenze fluviali, abbiamo l’Arno che spesso ci crea difficoltà, sono state create delle strutture, vasche di drenaggio delle acque che, quando si verifica una piena si aprono e l’acqua fuoriesce e inonda questi bacini di compensazione, evitando l’allagamento dei territori. La nostra capacità di fare altrettanto, in caso di iper afflusso di malati nei centri ustioni, non può fare a meno di creare casse di assorbimento ulteriore di malati. Queste strutture sono i nostri ospedali periferici. Tutto ciò che circonda il centro ustioni, dai reparti di chirurgia generale a quelli di chirurgia plastica, dalle dermatologie alle rianimazioni, queste strutture devono essere messe in condizione di assorbire parte di tale massa di pazienti che può pioverci addosso. Ma devono saperlo fare, devono essere preparati. Non possono improvvisare quando c’è un’emergenza. Fondamentali a tal proposito sono la formazione, la preparazione, la creazione di una rete di strutture intorno a un centro ustioni, oltre allo sfruttamento delle risorse di telemedicina e di tutto ciò che è possibile per rendere facili le comunicazioni e i rapporti tra noi e chi sta fuori e lontano da noi in maniera tale da farsi trovare pronti. A tal proposito stiamo cercando di prendere accordi con una società statale americana, il Barda, un organismo, una struttura che si occupa delle emergenze. E anche nel caso delle ustioni, in America si preparano prima. E lo fanno per avere le scorte di ciò che serve, proprio per evitare i colli di bottiglia come accade da noi, dove se arrivano dieci pazienti in ospedale bisogna operarli tutti. E non ci sono gli anestesisti, il sangue, le sale operatorie, mancano i chirurghi. Ecco, dunque, che negli Stati Uniti, ma anche da noi, vengono utilizzati farmaci che fanno un’escarolisi enzimatica: si applicano sulla ferita e dopo 4 ore la lesione è ripulita. Tutto questo evita di andare in sala operatoria, ci fa risparmiare le strutture, gli infermieri, gli anestesisti e i chirurghi. E questo è quello che abbiamo proposto anche come società nel caso arrivino pazienti covid. Invece di andare ad intasare le sale operatorie abbiamo sistemi enzimatici in grado di ripulire e di eliminare la necrosi, che rappresenta il fattore più grave per i pazienti, quello che li uccide. Quindi, prima togliamo la necrosi prima li mettiamo in salvo. Poi ci sono i materiali. Il Barda non si occupa solo di fornire, di prepararsi, di accumulare le riserve congrue ma anche di potenziare la ricerca, di indurre gli scienziati, le industrie e la ricerca a far sì che pongano sul mercato materiali sempre più facilmente fruibili, soprattutto in caso di emergenza. Prepara inoltre le persone ad usare quei materiali. Questo è ciò che dovremmo fare per cercare di completare una organizzazione nazionale che possa fronteggiare anche queste gravi emergenze’.

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