Così il Covid ha “fermato” a 67 anni il requisito da qui al 2023 (almeno)

I requisiti pensionistici di vecchiaia resteranno probabilmente fissi a 67 anni per ancora un biennio, forse anche di più. È una buona notizia, ma non la possiamo annunciare con il sorriso. E’ una notizia positiva perché sia nei desideri di chi fa le leggi, sia in quelli dei cittadini, ce la voglia di non ritardare ulteriormente il momento della pensione. Non possiamo però sorridere perché dietro a questa stabilità ci sono la pandemia 2020 e le sue vittime. I numeri appena rilasciati da Istat ad inizio maggio confermano quello che era già emerso nelle prime anticipazioni: la pandemia ha portato ad un crollo senza precedenti dell’attesa di vita a 65 anni nel 2020, pari a 13 mesi in meno a livello nazionale.

Le regole
Come noto, il nostro sistema pensionistico, per mantenere la spesa in equilibrio, ha introdotto un meccanismo automatico grazie al quale se si vive più a lungo, si va in pensione dopo: in questo modo la durata degli anni della pensione rimane uguale e lo Stato deve pagare le pensioni sempre per lo stesso periodo. Se l’attesa di vita sale, i requisiti salgono, con un limite massimo di 3 mesi ogni 2 anni: l’eventuale parte «a debito», eccedente i 3 mesi, verrebbe poi recuperata negli incrementi successivi. Se l’attesa di vita scende, i requisiti restano uguali, ma la parie negativa rimarrebbe «a credito» e verrebbe scontata dagli incrementi successivi. L’adeguamento previsto per il 2023 si basa sulla differenza tra la media dell’incremento di vita nel biennio 2019-2020 e in quello 2017-2018. Applicando questa formula ai dati Istat, l’incremento sarebbe negativo, con un decremento di tre mesi. Ecco perché, in attesa di conferme ufficiali, appare molto probabile che nel 2023 i requisiti di vecchiaia e di pensione anticipata contributiva possano restare invariati, mentre quelli di pensione anticipata erano già stati bloccati per legge dalla riforma 2019 fino al 2026. Ma se nei successivi incrementi del 2025 avremo un credito di 3 mesi , è possibile che, in caso di bassa crescita dell’attesa di vita, i requisiti possano restare nuovamente invariati, e cosi via per i successivi incrementi fino alla fine di questa decade. La realtà è che in questo momento non conosciamo ne l’effetto della pandemia sulle attese di vita nel 2021, né se ci sarà un rimbalzo nella longevità nel 2022 o 2023 grazie ai vaccini e alla minor mortalità. Ecco perché vale la pena di ricordare che invece, in caso di ripresa nella crescita dell’attesa di vita, i requisiti potranno tornare a crescere, arrivando a raggiungere entro il 2030 quasi 68 anni per il requisito di vecchiaia e – soprattutto – superando la soglia dei 42 anni di contributi per le donne ed i 43 per gli uomini. Il meccanismo Un meccanismo articolato, che scarica sulle spalle dei cittadini la variabilità del momento della pensione, legato a sua volta all’andamento della speranza di vita. Un modo per uscirne, reintroducendo l’originaria flessibilità sull’età di pensionamento prevista dal sistema contributivo creato nel 1995 ci sarebbe, ma si potrebbe applicare solamente a coloro che hanno tutta la pensione calcolata con il sistema contributivo. Per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 in poi, il valore dell’assegno pensionistico è già legato all’attesa di vita stimata al momento della pensione. I coefficienti Inps prevedono che se si va in pensione a 60 anni si avrà una pensione più bassa, che verrà erogata per almeno 22 anni, mentre se si va in pensione a 67 anni l’assegno, a parità di montante contributivo, sarà più alto di circa il 23%, perché verrà erogato per 17 anni. Cosa fare per chi invece è nel sistema misto, dove una parte della pensione è slegata dai contributi, e deriva dalla media dei redditi? Una prima risposta, probabilmente, sarà fornita alla conclusione dell’attuale dibattito sul superamento di Quota 100, con la possibile applicazione di Quota 102 o di Quota 41. Sarà una misura definitiva e stabile, oppure sarà una misura temporanea ed indirizzata solo alle generazioni prossime alla pensione? L’auspicio di tutti è che si tratti di regole valide per i prossimi anni, ma come sempre saranno (anche) gli equilibri di sostenibilità della spesa pensionistica ad influenzare le scelte in arrivo.

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