La studiosa Iannucci: “Velo come minigonna, è una scelta”

ROMA – “Il velo islamico è come la minigonna: un pezzo di stoffa. Può essere indossato per coercizione o essere simbolo di liberazione e affermazione personale. In ogni caso, io sono sia contro le leggi che vietano il velo o il burkini islamico (il costume da bagno integrale) che la minigonna. Come sostenevano già le femministe arabe nell’Ottocento, ritengo che come società, dobbiamo lavorare per dare alla donna gli strumenti per saper scegliere con consapevolezza, non limitarci a giudicare”. Così dice Marisa Iannucci, ricercatrice in scienze sociali e autrice di ‘Gender Jihad. Storia, testi e interpretazioni nei femminismi musulmani’ (edito da Il Ponte Vecchio). L’occasione è il webinar ‘Velo islamico: libertà o sottomissione?’, secondo appuntamento della serie ‘Controversie’ con Cinzia Sciuto, caporedattrice della testata MicroMega.

L’incontro si interroga sull’uso religioso del velo, a suo modo impiegato anche nelle altre fedi abramitiche – ebraismo e cristianesimo – o in altri culti e culture del mondo. Anche in ambito islamico, la studiosa sottolinea: “Il velo ha tanti significati perché variano le donne che lo indossano a seconda delle regioni, delle epoche e delle società. Ma non si può dare per scontato che coprire il corpo sia sempre e solo strumento del patriarcato”, ossia un modo degli uomini per esercitare controllo sulla donna. Una dinamica problematica, assicura la ricercatrice, ma che d’altronde “ritroviamo all’opposto anche in certe società odierne, quando si pretende che le donne scoprano le forme”. Iannucci esorta: “Quindi se ci preoccupiamo della donna che copre il capo e il corpo, dobbiamo interrogarci anche su quella che indossa abiti più succinti: sceglie in libertà o segue la moda e i canoni imposti? E soprattutto ha gli strumenti per capirlo?”.

Tornando alla pratica islamica, la studiosa fornisce alcuni spunti di riflessione per andare oltre certi stereotipi: “Nell’islam anche l’uomo è invitato a un abbigliamento pudico, sebbene molti oggi ignorino tale precetto. All’inizio del Novecento invece, liberarsi del velo è stato uno dei gesti più forti delle femministe arabe, penso all’Egitto e al velo integrale che copre anche il volto, il niqab. Abbandonarlo significava accantonare il simbolo della segregazione delle donne tra le mura domestiche”.

A partire dagli Anni 70 invece, i movimenti islamisti come i fratelli musulmani o i rivoluzionari in Iran, “lo impongono in modo coercitivo”. Oggi il quadro è ancora più articolato. “Ci sono le musulmane in Europa” dice Iannucci, “immigrate oppure nate e cresciute qui, istruite, emancipate. Alcune lo indossano, altre no”. Proprio in queste società però, si osserva durante il convegno, la religiosità può entrare in conflitto con la laicità. “La religiosità è una responsabilità individuale- dice Iannucci- e la laicità è il modo in cui ognuno di noi porta la propria storia e la propria cultura nello spazio pubblico, che non è mai neutro, e deve essere fatto in modo rispettoso”, così come “si deve accogliere con rispetto”. Continua Iannucci: “Se una bambina vuole portare il velo a scuola, è giusto lasciarglielo fare. Se invece è costretta dalla famiglia a indossarlo, è giusto che a scuola si senta libera di toglierlo”. Il riferimento è anche alla legge che in Francia vieta i simboli religiosi negli spazi pubblici. E allora, Iannucci ricorda ancora, “delle ragazze hanno dovuto rinunciare a studiare. Forse se sono transessuale devo nascondermi? L’identità è fatta da tante cose ed esprimerla non fa male a nessuno”.

INCENTIVARE AZIONI DI EDUCAZIONE RELIGIOSA NELLE COMUNITÀ MUSULMANE

Al contempo però, secondo Iannucci, “imporre l’uso del velo è sempre sbagliato”, che si tratti “di bambine o ragazze”. Per migliorare la condizione della donna allora la ricercatrice suggerisce “azioni di educazione religiosa nelle comunità musulmane. Non dimentichiamo che l’islam non è uno solo, ne esistono tante letture, più o meno rigide”. Le istituzioni in Europa “devono dialogare di più con i leader religiosi autoctoni, per rafforzare l’islam europeo, in un certo senso progressista, che rispetta e accoglie i valori di questa società perché li conosce”.

Le riflessioni di Iannucci accolgono la premessa di Sciuto di MicroMega, animatrice del dibattito, che sottolinea come intorno alla questione della donna musulmana spesso in Europa si ragioni a senso unico, senza tenere conto delle pluralità: “Non penso che la donna musulmana che non indossa il velo non è una vera musulmana, come spesso si sente dire”. Da questa distorsione discenderebbero anche pratiche istituzionali che contribuiscono ad alimentare uno stereotipo, anche quando paradossalmente si cerca di evitarlo.

Sciuto cita il caso della campagna vaccinale in Germania ‘Scopriti il braccio’, dove nei manifesti si mostrano persone pronte ad arrotolare la manica per ricevere l’iniezione. Tra loro, anche una donna musulmana che nella foto mantiene il braccio coperto per pudore: “È paradossale che si sia deciso di rappresentare anche la donna che interpreta il precetto islamico del pudore nel modo più ortodosso, solo per non attirare critiche da parte di chi avrebbe potuto intravedere una certa violazione della sensibilità musulmana”, osserva Sciuto, ragionando sul fatto che non tutte le donne di fede islamica “sceglierebbero di comportarsi in quel modo”. 
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