Cooperazione, Padova inaugura il centro sulla giustizia climatica

ROMA – Un hub per lo scambio di conoscenze e pratiche tra Europa, Africa e Sudamerica rispetto al tema della giustizia climatica, forti anche delle esperienze di ricerca maturate con i popoli nativi in realtà come quelle dell’Amazzonia. E poi un luogo dove promuovere un approccio multidisciplinare, insegnamenti innovativi e strumenti per il dialogo tra il mondo accademico e la società civile. Sono alcune delle definizioni e delle prospettive del Centro di eccellenza Jean Monnet sul ‘Climate Justice’ del Dipartimento di ingegneria civile edile ed ambientale (Dicea) dell’Università di Padova, inaugurato ufficialmente oggi con una conferenza online.

A delineare le caratteristiche dell’iniziativa è stato il suo coordinatore, Massimo De Marchi. Il docente, che al Dicea insegna geografia, ha ricordato che il Centro “è finanziato dal ‘Jean Monnet Framework’ della Commissione europea per un periodo di tempo di tre anni” e prende le mosse da “solide radici”, costituite, tra le altre esperienze, del progetto di ricerca ‘Cambiamenti climatici, territori, diversità’ dell’ateneo veneto.

E’ proprio nell’ambito di questa iniziativa che i ricercatori dell’Università di Padova hanno affiancato colleghi e attivisti dell’Amazzonia, in modo particolare ecuadoriana, nello studio sulla transizione dai combustibili fossili e gli effetti che lo sfruttamento di questi ultimi ha sulla popolazione. Il respiro internazionale è una delle caratteristiche del Centro Jean Monnet, che sarà coordinato da Padova ma che collaborerà anche con l’Universidad Andina Simón Bolívar di Quito in Ecuador e poi con due atenei burkinabè, nel Sahel, quello della capitale Ouagadougou e quello di Koudougou.

“Ampliare a livello internazionale le conoscenze delle politiche ambientali dell’Ue e della loro implementazione a livello locale nel mondo – ha sottolineato De Marchi – è uno degli obiettivi del Centro e raggiungerlo può essere possibile solo puntando sul dialogo”.

L’apertura al mondo del resto ha caratterizzato gli ultimi anni delle iniziative Jean Monnet, nate nel 1989 e inizialmente rivolte soprattutto all’Unione Europea, come sottolineato da José-Lorenzo Valles, responsabile della European Education and Culture Executive Agency della Commissione Europea (Eacea). Concepito per sostenere le università del continente e per diffondere conoscenze e insegnamenti sull’integrazione europea, “con un focus soprattutto in ambito economico e giuridico”, ha detto Valles, il progetto si sta sempre più ampliando anche a livello dei temi, se è vero che nei programmi del quinquennio 2019-2024 “le questioni relative al Green Deal e alle politiche ambientale rappresentano il 12 per cento di quelle affrontate”.

Al cuore dell’intervento di Alberto Diantini, del Dipartimento di scienze storiche, geografiche e dell’antichità dell’Università di Padova, una panoramica storica sul concetto di “giustizia climatica”, che si focalizza “sulla connessione tra l’esposizione ai rischi ambientali e preesistenti debolezze sociali ed economiche”.

Passaggio chiave per consolidare questa definizione, ha sottolineato Diantini, sono state le elaborazioni teoriche del sociologo americano Robert Bullard dopo il passaggio dell’uragano Katrina sulla città di New Orleans, nel 2005, e dei suoi effetti profondamente diseguali sulla popolazioni.

Le prospettive odierne della “giustizia sociale” sono state invece il filo conduttore dell’intervento di Vandana Shiva, attivista indiana e icona del movimento ambientalista. “Sappiamo chi sono i grandi inquinatori, la grande industria, il comparto chimico, e sappiamo che devono pagare” ha denunciato Shiva, fondatrice oltre 30 anni fa dell’iniziativa internazionale Navdanya. “Un passo fondamentale è anche liberarci dalla dipendenza dai carboni fossili che ha creato la ‘mente fossile’ che ha partorito la concezione della Terra come qualcosa di morto, che prende vita solo nel momento in cui si estraggono dal suo ventre le materie prime”.
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