Pulcini: “Se fosse miocardite, Eriksen potrebbe ritornare a giocare”

ROMA – “Scusi il gioco di parole: auguro davvero di cuore a Christian Eriksen che il suo problema di salute sia legato a una miocardite. Se così fosse, il giocatore danese potrebbe anche tornare in campo, sempre che tutte le commissioni mediche addette a questo giudizio diano una idoneità”. A parlare, ai microfoni della Dire, è Ivo Pulcini, specialista in cardiologia e medicina dello sport e consigliere dell’Ordine dei medici di Roma.

Pulcini sottolinea che “la miocardite deve essere controllata periodicamente nel tempo con esami specifici del sangue e strumentali, come la RM, tenendo presente una possibile recidiva entro 6/12 mesi dopo l’episodio. Se gli esami risultano negativi e il giudizio clinico della commissione è favorevole, il giocatore può riprendere normalmente l’attività fisica agonistica. La miocardite è infatti una malattia guaribile, come ad esempio una broncopolmonite, a meno che non ci siano esiti che compromettono la capacità fisica e l’adattamento del cuore allo sforzo. Viceversa, qualora non si tratti di miocardite ma di una canalopatia congenita che richiede l’impianto sottocutaneo di un defibrillatore, in tal caso in Italia il calciatore non potrà avere il certificato di idoneità agonistica”. Nel nostro Paese è infatti vietato far giocare un atleta al quale è stato impiantato un pacemaker, un defibrillatore. Il primo motivo è perché ‘la macchina’ si potrebbe rompere in caso di contrasto, il secondo perché nel nostro Paese vige una legislazione molto severa.

Pulcini spiega che “l’Italia è stato il primo Paese al mondo, grazie alla Legge 1099 del 1951, a cercare di tutelare l’attività sportiva degli atleti, la salute nell’attività sportiva. Poi ci sono stati la Legge 833 del 1978 e il Decreto ministeriale del 1982, tuttora vigente nonostante alcune modifiche regionali. In più, nel 2014, abbiamo avuto il Decreto Balduzzi che prevede la distribuzione nazionale dei defibrillatori in tutte le strutture sportive”.

Ivo Pulcini è stato uno dei primi medici in Italia ad utilizzare un elettrocardiografo che adotta il ‘Sudden Death Screening’, uno screening della morte improvvisa. Con qualche anno di anticipo il Sistema Sds permette di capire se quell’atleta o un cittadino comune andrà o meno incontro a morte improvvisa. “Oltre ad essere il primo Paese al mondo per la tutela della salute degli atleti- informa Pulcini- non solo seguiamo le leggi e il codice deontologico che l’Ordine dei medici applica e fa applicare a tutti gli iscritti, ma seguiamo anche i protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico secondo il Comitato organizzativo cardiologico per l’idoneità allo sport (Cocis), che raggruppa quasi tutte le associazioni cardiologiche in Italia”.

Tutto questo ha fatto sì che l’Italia, secondo la statistica di Barry J. Maron, professore presso Tufts University School, centro di cardiomiopatia ipertrofica, sia il Paese con il numero più basso di morti improvvise nell’ambito sportivo dovute a patologie congenite.

“Tuttavia, ogni anno si registrano 70.000 morti improvvise- si rammarica Pulcini- persone che potrebbero essere salvate con il defibrillatore. Il mio auspicio è che venga presto approvata la Legge Mulè, che prevede la distribuzione dei defibrillatori anche all’interno dei condomini e la preparazione di tutti, atleti compresi, che devono essere in grado di realizzare le operazioni di primo soccorso in attesa del defibrillatore e del medico. Sarebbe un segno di grande qualità non solo sportiva ma anche umana e culturale”.

Facciamo un salto indietro nel tempo. Torniamo a quel terribile pomeriggio di Danimarca-Finlandia. Cosa può essere accaduto lo scorso 12 giugno sul prato dello stadio Parken di Copenhagen? “Quando un atleta, di qualsiasi livello, cade come è accaduto al giocatore danese e perde totalmente la coscienza, il respiro ed il polso- aggiunge Pulcini- significa che ha avuto un arresto cardiaco. Di solito, in un atleta, l’arresto cardiaco avviene per diverse situazioni patologiche, spesso congenite, che si chiamano ‘canalopatie’, ovvero problemi elettrici su un cuore perfettamente normale. Prendiamo ad esempio la sindrome di Brugada: si innesca un meccanismo di contatti elettrici, attraverso gli ioni, sodio, potassio, calcio e cloro. Invece di avere una contrazione normale che permette di riempire di sangue il ventricolo sinistro e il destro e poi fare una contrazione per spedire a tutto il corpo, compreso il cervello, il sangue che serve per mantenere in vita tutti gli organi, improvvisamente il cuore impazzisce, fibrilla, le contrazioni non sono efficaci e il sangue al cervello non arriva. Ecco spiegata l’improvvisa caduta di Eriksen. È come se si spegnesse il motore perché manca la corrente”.

Cosa si deve fare in questi casi? Pulcini risponde che “il paziente va messo supino e si deve intervenire con il massaggio cardiaco ma, soprattutto, è fondamentale la tempestività dell’uso di un defibrillatore. E nella vicenda Eriksen la tempestività è stata determinante: 3 minuti e 12 secondi hanno permesso di rianimare il ragazzo, che altrimenti non sarebbe resuscitato come uomo, mentre come atleta il suo futuro è ancora tutto da scrivere”.

Gli italiani un popolo di santi, poeti… e di grandi sportivi a livello amatoriale. A loro Pulcini lancia un appello. “Per legge, tutti gli amatori devono fare una visita non agonistica, che prevede l’elettrocardiogramma solo sopra i 40 anni. La visita va fatta fin da giovane, come quando c’erano il medico scolastico o il medico militare, quando era l’obbligo di leva, figure che filtravano le malattie, comprese le cardiopatie congenite, e salvavano molte vite. Oggi, purtroppo, queste figure professionali sono state messe da parte” conclude.

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