Operazione antimafia, arrestata pure la pentita Vitale: trafficava droga

PALERMO – Tra gli arrestati nell’operazione antimafia coordinata dalla Dda di Palermo c’è anche la collaboratrice di giustizia Giusy Vitale, in passato reggente del mandamento di Partinico e al momento fuori dal programma di protezione. I carabinieri del Comandi provinciale di Palermo ne hanno ricostruito il ruolo in una vicenda che riguarda il nipote, Michele Casarrubia, figlio di Antonina Vitale, sorella della ex collaboratrice, che nel novembre del 2018 si era recato a Roma per trattare l’acquisto di una grossa quantità di cocaina con Consiglio Di Guglielmi, detto ‘Claudio Casamonica’, considerato dagli inquirenti “personaggio apicale” dell’omonimo clan romano, poi morto per Covid. All’incontro, che fu registrato dagli investigatori, partecipò anche Giusy Vitale, accusata di essere entrata in possesso di un quantitativo di cocaina attraverso fornitori calabresi di Milano e Bergamo “ragionevolmente – sottolineano i carabinieri – per la successiva vendita”.

Le conversazioni tra Vitale e Casarrubia evidenziano “l’ausilio” fornito dalla prima al nipote nell’interpretare le dinamiche relative al traffico di droga svolta da quest’ultimo. Secondo gli inquirenti, quindi, è “assolutamente chiaro come la donna non si sia dissociata dall’ambiente criminale in genere e da Cosa nostra partinicese in particolare”. Nell’inchiesta è finita, inoltre, una seconda intercettazione, registrata nel dicembre del 2018: Casarrubia racconta alla zia del comportamento del cugino Michele Vitale per un furto di marijuana nei confronti di Salvatore Primavera e riferisce della convocazione di quest’ultimo da parte di appartenenti a Cosa nostra partinicese. Nel corso della conversazione Giusy Vitale evidenzia “la normalità della procedura”, conforme quindi alle regole mafiose. La registrazione, avvenuta a Roma, secondo gli inquirenti fa emergere “in maniera chiara” la mancata dissociazione di Giusy Vitale dalla mafia. 

CONTATTI TRA BOSS E POLITICI LOCALI

Ci sarebbero dei contatti tra mafia di Partinico e diversi politici locali del Palermitano. Il dato emerge dall’inchiesta della Dda che ha portato a 81 arresti nella notte. Un capitolo dell’inchiesta riguarda le “ingerenze” di Cosa nostra nell’amministrazione comunale di Partinico: nell’estate del 2020 il consiglio comunale fu sciolto con decreto ministeriale su proposta della Compagnia carabinieri di Partinico per “ritenuti condizionamenti mafiosi dell’attività amministrativa”. Il provvedimento arrivò un anno dopo le dimissioni del sindaco, Maurizio De Luca, che provocarono il decadimento della giunta comunale. L’indagine che ha portato al blitz di oggi ha interessato il biennio 2017-2019 e ha consentito di “registrare indirettamente – sostengono gli investigatori – parte delle dinamiche amministrative e documentare aderenze tra alcuni degli indagati e diversi politici locali”.

ACCUSA DI CORRUZIONE PER AGENTE PENITENZIARIA

C’è anche un agente di polizia penitenziaria in servizio nel carcere Pagliarelli di Palermo tra gli indagati nel blitz antimafia che ha colpito il mandamento mafioso di Partinico. L’agente, a cui viene contestato il reato di corruzione aggravata, avrebbe favorito le comunicazioni epistolari tra Francesco Nania, arrestato per associazione mafiosa nel febbraio del 2018, e l’esterno del carcere. Tra le accuse anche quella di avere rivelato agli indagati informazioni sulla organizzazione del carcere “al fine di ostacolare le attività di indagine – sostengono gli investigatori – e di intercettazione”. L’agente di polizia penitenziaria sarebbe stato messo a disposizione dei clan “quale propria fidata risorsa” da Giuseppe Tola, titolare di un’agenzia immobiliare di Partinico, che lo avrebbe ricompensato con generi alimentari (ricotta, arance e carne di capretto), capi di abbigliamento (felpe e tute), il lavaggio mensile dell’auto e l’acquisto di carburante a prezzi ribassati. 

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