Contro il soffitto di cristallo? Competenze, welfare e tanta conquista

ROMA – Sgravi alle imprese, decontribuzioni, congedi parentali, registri di aziende virtuose. Siamo dovuti arrivare a questo per arginare un’ingiustizia. Quella delle donne che non rompono il soffitto di cristallo. Non tutte le imprenditrici plaudono a questo ‘vento’ politico di speciali misure per il mondo femminile, per molte rischiano di diventare un boomerang. Eppure la presidente di AIDDA, Antonella Giachetti, al Women20 l’ha detto chiaro: “Servono rimedi, ma bisogna vedere quali e come sono fatti. Se la decontribuzione non è sul lungo periodo – un esempio tra tanti- in un periodo di emergenza come questo si finanzia solo la perdita”. Ma da più parti arriva la pressione politica: servono norme ad hoc per sanare un gap storico che ci portiamo sulle spalle. Le infrastrutture sociali per le quali si batte da sempre Linda Laura Sabbadini, chair Women20, rappresentano un fulcro essenziale per rendere le donne libere.

Le competenze non hanno sesso, né genere: verità. Dunque se così è, se le donne si laureano di più e meglio dei maschi, come mai non arrivano alle posizioni top? Le competenze forse evaporano per strada? Non sarà che quelle maschili sono state per troppo tempo privilegiate dalle aziende solo perché maschili, o perché qualche donna rinunciava per lasciare l’uomo rampante in lizza? Se le donne chiedono part time per occuparsi della famiglia per una scelta consapevole va bene, ma se lo fanno perché si arrendono distrutte di stanchezza, accontentandosi di uno stipendio più basso e di un non decollo permanente, allora è una sconfitta. Diciamolo senza tabù. Dell’azienda, del Paese e di quella donna che vivrà di rinuncia e non di conquista. Non siamo fatte con lo stampino, esattamente come gli uomini. Le cose che vogliamo sono le stesse, al di là di come le viviamo. Il segreto della felicità non sta nella scelta che si fa, ma nella libertà con cui si sceglie. Solo così finirà questa storia di come una donna concilia le sue mille vite. E noi giornalisti, finalmente,  smetteremo di chiederlo. 

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