Intervista a Sabino Cassese – La vita delle Casse dipende dalla saggezza degli amministratori

Le Casse professionali? Organismi sociali e non statali, la cui indipendenza si fonda sulla capacità (oculatezza) degli amministratori. Lo Stato? Fissa le regole del gioco per le professioni, poi però spetta ai loro amministratori la buona e virtuosa gestione. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte costituzionale, oggi tra gli altri incarichi docente alla School of Government della Università Luiss di Roma, ribadisce la centralità del welfare professionale, ma sottolinea il ruolo della politica e dei cittadini negli importanti cambiamenti demografici in corso nel Paese. La previdenza, o più in generale il welfare come si preferisce definire oggi, è un diritto previsto dalla Costituzione. Quante volte la Consulta è intervenuta sul punto per affermare, bilanciare, correggere l’esercizio e la fruizione di tale diritto?
Di frequente, come è naturale, trattandosi di diritti sociali. Ad esempio, per stabilire che i diritti sociali riguardano uomini e donne, non solo cittadini. Per evitare disparità tra regioni. Per evitare che diritti riconosciuti per assicurare l’eguaglianza producano, invece, diseguaglianze.

L’istituzione delle Casse professionali a metà degli anni ’90 ha segnato un notevole passo di avanzamento per l’autonomia e per le tutele dei professionisti e delle loro famiglie. Oggi, dopo due cicli di crisi globali, questa autonomia è messa a dura prova, con il rischio che lo Stato debba progressivamente rientrare nelle funzioni che aveva il colloquio delegato e con la progressiva riduzione delle prestazioni.
Ho studiato, promosso e redatto, nella prima parte degli anni ’90, la norma che prevede la cosiddetta privatizzazione delle Casse. Successivamente, la situazione è peggiorata, con una ripubblicizzazione in contrasto con la norma del 1994. Bisogna ora fare pulizia di tutte le superfetazioni che si sono aggiunte e riconoscere che le Casse sono organismi sociali non statali.

Il problema di lungo termine in ogni caso è la sostenibilità, sia delle Casse, sia più in generale del sistema di tutele e diritti disegnato dalla Costituzione.
Sono due compiti completamente diversi. Il primo è nelle mani degli amministratori delle Casse, che debbono gestirle in maniera oculata, pensando al futuro, il secondo è nelle mani della politica, nonché di tutti gli italiani, che devono essere consapevoli delle conseguenze dei cambiamenti demografici in corso.

Come vede il rapporto attuale tra le professioni classiche (ordinistiche) e lo Stato? Un ruolo di raccordo, di delega di funzioni, di esazione intermediata, di collaborazione? E quali correttivi suggerirebbe?
Lo Stato deve soltanto garantire le regole del gioco. Per il resto, sono gli Ordini e i loro rappresentanti che debbono assicurare una buona gestione.

Quale ruolo vede per i professionisti nell’Italia e nell’Europa post Covid e per il quinquennio del Pnrr?
Esistono importanti studi sulla storia delle professioni e delle loro organizzazioni in Italia. Da questi emerge sempre un tratto caratteristico. Il fatto che abbiamo ottimi professionisti, ma che il loro impegno nella vita pubblica e in quella politica è molto limitato. Se si impegnassero di più, lo spazio pubblico si arricchirebbe e la politica sarebbe dominata da idee meno rudimentali.

Tra la concezione europea delle professioni classiche (considerate alla stregua di imprese tout court, soggette tra l’altro alle regole antitrust) e quella domestica (legata alla tradizione del nostro Codice civile e agli Ordini), quale ritiene più aderente alla realtà e soprattutto più funzionale alla tutela dei diritti dei cittadini? Il diritto europeo ha avuto bisogno di assimilare l’attività delle professioni alle imprese pe rpotere assicurare concorrenza anche nel campo delle professioni. per evitare che si creassero zone di privilegio. Dunque, dal diritto europeo bisogna prendere l’aspetto della concorrenza, senza accentuare quello di carattere imprenditoriale.

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