Smart Working, in Italia il lavoro è sempre più “agile”

Redazione

Lo Smart Working si fa largo in Italia, dove è ormai una realtà concreta che coinvolge sempre più imprese e lavoratori, mostrando ulteriori grandi potenzialità di espansione. Con riferimento al solo lavoro subordinato, gli Smart Workers italiani –  vale a dire quei lavoratori che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati – sono già 250 mila, circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti, cresciuti del 40% rispetto al 2013. Il lavoratore “smart” tipo è un uomo (nel 69% dei casi) con un’età media di 41 anni, residente al Nord (nel 52% dei casi, solo nel 38% nel Centro e nel 10% al Sud) e rileva benefici nello sviluppo professionale, nelle prestazioni lavorative e nel work-life balance rispetto ai lavoratori che operano secondo modalità tradizionali.

Ben il 30% delle grandi imprese nel 2016 ha realizzato progetti strutturati di Smart Working, con una crescita significativa rispetto al 17% dello scorso anno. Da tenere conto che a questi numeri si aggiunge  anche un 11% che dichiara di lavorare secondo modalità “agili”, pur in assenza di un progetto sistematico. Una situazione ben diversa si riscontra invece nelle piccole e medie imprese: qui, la diffusione di progetti strutturati è ferma al 5% dello scorso anno, con un altro 13% che opera in modalità Smart in assenza di progetti strutturati. Nonostante una certa apertura all’eventualità di future introduzioni, si rileva quindi nel complesso uno scarso interesse, dovuto sia alla limitata convinzione del management sia alla mancanza di consapevolezza dei benefici potenzialmente ottenibili. 

Sono questi alcuni dei dati emersi dall’ultima ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, in occasione del convegno “(Smart) Work in progress!”. L’indagine ha coinvolto 339 manager delle funzioni IT, HR e Facility, oltre a un panel rappresentativo di 1.004 lavoratori (in collaborazione con Doxa) per rilevare le attuali modalità di lavoro delle persone.“Il 2016 è stato un anno di svolta per lo Smart Working in Italia: alla crescente diffusione e maturazione dei progetti delle imprese si è accompagnata una sempre maggiore consapevolezza a livello istituzionale, con il Disegno di Legge del Governo approdato in Parlamento – ha commentato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. La ricerca rivela come il lavoro agile in Italia non sia più un’utopia né una nicchia, ma una realtà rilevante e in crescita in grado di offrire una boccata di innovazione e flessibilità a un mercato del lavoro per troppi anni bloccato da rigidità e contrapposizioni. Restano, tuttavia, sfide importanti da affrontare, come l’applicazione alla Pubblica Amministrazione, la diffusione tra le PMI e la declinazione del lavoro Smart nelle attività manifatturiere anche grazie all’innovazione introdotta dall’Industria 4.0”.

Lo sviluppo dello Smart Working in Italia è un fenomeno ormai irreversibile, ma perché abbia effetti di grande portata sull’organizzazione del lavoro del Paese rimangono alcuni ‘cantieri’ aperti su cui aziende, istituzioni, sindacati e mondo della ricerca devono lavorare assieme – gli ha fatto eco Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working -. Il primo è quello delle PMI per cui persiste una barriera culturale, anche se l’aumento di consapevolezza fa ben sperare per il futuro. Il secondo la PA, per cui l’obiettivo di diffusione di modelli flessibili introdotto nella riforma Madia è una nota positiva, ma non ancora sufficiente. Il terzo è la necessità di rendere i progetti più pervasivi nel superamento degli orari di lavoro, nel ripensamento degli spazi e nella creazione di sistemi di valutazione per obiettivi. Il quarto riguarda la Digital Transformation che lo Smart Working può abilitare introducendo nuove tecnologie in azienda. Infine, l’estensione ai nuovi profili dell’Industria 4.0, mestieri oggi ancora distanti come operai e manutentori”.

Smart Working, quali i benefici? – I lavoratori “smart” rilevano effetti positivi nello sviluppo professionale e nella carriera, nelle prestazioni lavorative e nel work-life balance. L’analisi dell’Osservatorio Smart Working rivela, in particolare, come gli Smart Worker appaiano decisamente più soddisfatti rispetto alla media dei lavoratori riguardo allo sviluppo professionale e alla carriera: il 41% giudica addirittura eccellente la propria capacità di sviluppare abilità e conoscenze propedeutiche a un’evoluzione professionale. Come forse prevedibile, il giudizio positivo riguarda soprattutto le donne Smart Worker, per le quali il livello di soddisfazione è maggiore del 35% rispetto alle lavoratrici tradizionali (per gli uomini la differenza è pari al 22%).

Positivi anche gli esiti sulle performance professionali: lo Smart Working ha un effetto positivo concreto sull’engagement delle persone. Oltre un terzo del campione intervistato, ritiene di contribuire positivamente alla creazione di un buon clima aziendale. Quattro lavoratori agili su dieci si dichiarano addirittura entusiasti del proprio lavoro. Non solo, gli Smart Worker vedono più soddisfatta della media la capacità di bilanciare vita professionale e privata: il 35% è molto soddisfatto di come riesce a organizzare il proprio tempo (rispetto al 15% di media) , mentre il 29% dichiara di riuscire sempre a conciliare le esigenze personali e professionali (rispetto al 15% di media). Anche nel caso del work-life balance, il beneficio è maggiore per le donne. 

Le tecnologie digitali – I servizi di social collaboration, i servizi e gli strumenti per la mobilità, l’accessibilità e la sicurezza e le workspace technology sono le tecnologie digitali individuate come indispensabili all’abilitazione  dello Smart Working, poiché utili e necessarie a supportare il lavoro in mobilità rendendo possibile la comunicazione, la collaborazione e la condivisione di conoscenza, a prescindere dalla presenza fisica in un determinato luogo di lavoro.

I servizi di social collaboration (come instant messaging, webconference, convergenza fisso-mobile) sono in realtà già molto diffusi nelle organizzazioni di grandi dimensioni, con particolare riferimento agli strumenti di condivisione e archiviazione di documenti, presenti nell’87% di grandi imprese e nel 34% delle PMI. Seguono gli strumenti di collaborazione in tempo reale, presenti nel 76% delle grandi organizzazioni e nel 32% delle PMI. Molto meno diffusi sono invece gli strumenti social come forum, blog e social network interni, presenti nel 29% delle grandi aziende; la percentuale scende addirittura al 9% nel caso delle piccole.

La diffusione di iniziative a supporto della mobility (mobile device, mobile business app e enterprise application store) risultano strettamente correlate alla dimensione aziendale: i mobile device come smartphone e tablet sono presenti nella quasi totalità delle aziende di grandi dimensioni, molto meno nelle PMI. Le mobile business app più diffuse sono quelle legate alla personal productivity (come le email, 54%), alla business productivity  e al supporto della forza vendita (38%). Tra i servizi per l’accessibilità e sicurezza, nelle grandi imprese sono diffusi in particolare la VPN (92%) e l’impostazione di password e codici di sblocco (63%), meno i sistemi di protezione sui dispositivi mobile. Infine, tra le workspace technology che agevolano il lavoro in mobilità all’interno dell’azienda, cresceranno nel prossimo anno lo smart printing – che il 38% delle grandi aziende del campione ha già a disposizione e che il 13% introdurrà entro i prossimi 12 mesi – e i badge multifunzione per l’utilizzo di diversi servizi all’interno dell’azienda.

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