Milano, De Corato non si ricandida dopo 36 anni: “A Bernardo do tre consigli”

Di Nicolò Rubeis

MILANO – Dagli anni del socialismo dilagante della Milano da bere ai giorni bui di Tangentopoli fino alla strage di Via Palestro. E ancora le visite indelebili a Palazzo Marino di Vladimir Putin e del suo ‘telefono rosso’, di George Clooney, di Michael Schumacher e del sindaco di New York Rudy Giuliani, l’uomo della ‘zero tolerance’. In un’intervista concessa alla Dire, il consigliere comunale di Fratelli d’Italia Riccardo De Corato ripercorre i suoi 36 anni passati ininterrottamente a Palazzo Marino. Il decano del centrodestra infatti ha già annunciato che non si ricandiderà, anche se darà comunque una mano al candidato Luca Bernardo. Entrato in Comune nel 1985 con il Movimento Sociale Italiano, De Corato è stato vicesindaco ‘sceriffo’ dal 1997 al 2011, prima nelle due giunte di Gabriele Albertini e poi in quella di Letizia Moratti.

“Arrivai a Palazzo Marino con le elezioni di maggio – comincia a raccontare l’esponente di FdI – il sindaco era ancora eletto dal Consiglio comunale”. Erano infatti epoche di maggioranze che nominavano il primo cittadino e la giunta. “Il consiglio fu convocato intorno ai primi di agosto – ricorda – ci misero tre mesi a rieleggere Carlo Tognoli (il sindaco socialista scomparso lo scorso marzo, ndr). Il suo vice era Elio Quercioli”. A Palazzo Marino, guardando dalla postazione del sindaco, la destra sedeva alla sua sinistra e viceversa. Ed è ancora così: “Erano sedute molto calde – ricorda De Corato – come Msi eravamo fuori da ogni tipo accordo. La nostra era un’opposizione dura, come facciamo ancora adesso”.

La giunta di Tognoli era composta dal Partito Socialista, dalla Democrazia Cristiana, dai repubblicani, dai socialdemocratici e dai liberali. “Devo dire che Tognoli non era un sindaco fazioso come ci si poteva aspettare da esponenti di centrosinistra. Stesso discorso per il suo vice”, riconosce De Corato. Anche se “si capiva subito che c’era un accordo trasversale. Dentro la Dc l’opposizione la faceva solo Massimo De Carolis (della frangia più a destra della ‘balena bianca’, fu rapito dalle brigate rosse e gambizzato nel 1975, ndr). Era quello maggiormente schierato contro la giunta Tognoli”.

Insieme a De Corato, nel Msi, c’erano il famoso ‘barone nero’ Tomaso Staiti di Cuddia, l’avvocato Carlo Amedeo Gamba e Alfredo Mantica. “La nostra opposizione era senza sconti anche se Tognoli cercava di coinvolgerci. Mantica, per esempio, presiedeva la commissione sull’informatizzazione”. In quegli anni c’era qualcun altro che iniziava a muovere i suoi primi passi in Comune, Basilio Rizzo, l’ultimo baluardo della sinistra radicale milanese. Anche lui, dopo 38 anni a Palazzo Marino, ha fatto sapere che non si ricandiderà, lasciando il testimone all’architetto Gabriele Mariani, candidato alle comunali con la compagine ‘Milano in Comune’. “Non era molto acceso, ma conduceva tante battaglie da sinistra. Mi ricordo una seduta d’aula infuocata. C’erano state alcune avvisaglie di tangenti e Rizzo fece un intervento molto duro nei confronti della giunta di centrosinistra. Insomma, non era uno che le mandava a dire”. A Milano “la sinistra governava dall’epoca del sindaco medico Pietro Bucalossi – prosegue De Corato – al tempo erano molto influenti anche nella società oltre che in aula”.

Finiti i rampanti anni ’80, stava per arrivare l’uragano che travolse definitivamente la Prima Repubblica cambiando per sempre la storia del nostro Paese, Tangentopoli. “Si capiva che qualcosa stava succedendo, si vedeva. Un consigliere comunale della maggioranza mi indicò coloro che erano a libro paga di questo o di quello – va avanti l’attuale assessore lombardo alla Sicurezza – si sapeva tutto, era una storia che viveva in quell’aula. Non ci voleva una laurea per capire certe cose”. In questo contesto, continua De Corato, “ho cominciato a fare degli esposti sul Piccolo Teatro che è stato poi oggetto di arresti e indagini. Sono stato in procura diverse volte in quegli anni, c’erano magistrati come Ferdinando Pomarici (il pm ‘con la pistola’ come si diceva al tempo, ndr) e Francesco Di Maggio”.

E poi arrivò il fatidico 17 febbraio 1992, giorno dell’arresto di Mario Chiesa, già assessore milanese ai Lavori Pubblici nel 1980 e all’Edilizia Scolastica nel 1985, e presidente del Pio Albergo Trivulzio. “Ma non ci fu meraviglia – spiega De Corato – con gli arresti capimmo che qualcosa stava finendo. Da lì diventò una cosa indescrivibile. Da sinistra dicevano che io conoscevo il magistrato Antonio Di Pietro ma io non l’ho mai visto, se non nel ’93 quando ero andato in procura a presentare un esposto”.

In molti “avevano capito che si stava avvicinando il loro turno. C’era un clima tremendo da resa dei conti. Basti pensare che in aula facevamo un appello alla mattina e un altro dopo pranzo per vedere chi era rimasto fuori dagli arresti e dalle retate”, ricorda De Corato. Una stagione “che per fortuna è finita” e che segnò per sempre la storia milanese e italiana: “Sia io sia Rizzo, insieme ad altri, fummo autori di una raccolta firme per chiedere lo scioglimento del Consiglio comunale. In quel modo non si poteva andare avanti”.

Qualcosa finiva, qualcos’altro nasceva. Sulla scena si stava destreggiando un noto imprenditore attivo nell’edilizia e nelle telecomunicazioni, Silvio Berlusconi. “Le avvisaglie per qualcosa di nuovo c’erano tutte. Quando arrivò Berlusconi una parte della Dc si era liquefatta e il Psi stava sparendo dalla politica. A Roma avevano tirato le monetine a Bettino Craxi. Anche i repubblicani ne risentirono”. In quel clima “di squagliamento dei partiti nacque Forza Italia. Si sentiva che stava arrivando un partito che raccoglieva tutto quello che rimaneva del centro”.

Ma c’erano anche altri che si affacciavano alla politica, li chiamavano inizialmente ‘i barbari’. Fu così che, capitanata da un giovane Umberto Bossi, arrivò anche la Lega. I risultati, specie a Milano, furono subito ottimi. Il ‘borgomastro’ Marco Formentini, come era soprannominato, sindaco leghista deceduto lo scorso gennaio, entrò a Palazzo Marino con una maggioranza assoluta, così ampia come mai era successo a Milano, subentrando all’ultimo primo cittadino socialista designato da Craxi, Giampiero Borghini.

E con lui faceva il suo esordio tra i banchi del Comune anche un giovane Matteo Salvini: “Ricordo che, salvo qualcuno, c’era una parte degli assessori del Carroccio che aveva paura. Gli arresti non erano mica finiti…”, dice De Corato. La procura continuò infatti con gli avvisi di garanzia almeno fino al 1996-1997. “Firmare una delibera in quel periodo poteva finire bene ma anche male – prosegue l’esponente di FdI – c’era sempre la paura di portare avanti atti che puzzavano di tangenti”. E comunque “una buona fetta degli assessori della Lega non era preparata a governare una città come Milano”, scandisce il decano dei consiglieri comunali.

Il 27 luglio del 1993 è un altro giorno tragico per la città: la strage di via Palestro compiuta da Cosa Nostra, durante la quale persero la vita cinque persone. “Sentii l’esplosione molto bene – ricorda De Corato -. Abitavo in viale Monza e avevamo le finestre aperte. Udimmo un boato fortissimo e andammo subito lì per vedere cosa era successo. Era appena arrivato anche Formentini, una scena terribile”.

Nella sua lunga carriera politica De Corato ne ha viste praticamente di tutti i colori. “Una delle visite che più ricordo fu quella di Carlo Azeglio Ciampi quando venne alla Scala da presidente della Repubblica durante l’era Albertini. Ci attaccavano da sinistra con esposti in Procura”, l’opposizione “ci massacrava. Milly Moratti (parente di Letizia, attuale vicepresidente lombardo, ndr) arrivò addirittura a dubitare del fatto che io mi fossi portato a casa le porte della Scala”. Il tempio dell’opera milanese venne riaperto nel 2004, dopo che nel 2001 i vigili del fuoco avevano proibito l’accesso al pubblico, talmente l’edificio era fuori norma. “Sistemammo il palco della Scala con uno mobile. Quando venne Ciampi capì che stavamo rispettando i tempi. E poi in quegli anni costruimmo il più grande teatro di periferia da 2.400 posti, quello degli Arcimboldi (nato su iniziativa del Comune e di Pirelli, ndr). Una cosa che nessun sindaco aveva mai fatto a Milano”.

Ma De Corato a Palazzo Marino ha visto anche George Clooney, o Michael Schumacher. “Io che ero il vicesindaco sceriffo porterò sempre nel cuore la visita a New York a Rudy Giuliani, che poi tornò a Milano”. Ossia, il mayor della ‘zero tolerance’, la lotta senza quartiere all’illegalità, “la stessa che stavo applicando anche io. Lui però aveva una città da 10 milioni di abitanti con 40.000 uomini delle forze dell’ordine (ride, ndr). Qui in Regione ho ancora sulla mia scrivania la sua foto alla Scala dopo che lo ricevemmo io e Albertini”.

Un’altra giornata indimenticabile “fu quando venne Rania, la regina di Giordania. Una cosa è vederla in tv – sorride De Corato – un’altra è farlo da vivo”. Il 6 giugno del 2000 arrivò a Milano Vladimir Putin. “Aveva con sé il famoso telefono rosso, quello che si vede nei film. Vederlo dal vivo mica roba da niente, faceva impressione”. Dopo averlo accolto a Palazzo Marino “vedemmo che il telefono era presidiato da quattro uomini armati. Quella scena mi destò un po’ di preoccupazione. Sembrava il telefono della nostra vita”.

De Corato è stato vicesindaco in giunte diverse: “Con Albertini c’erano delle qualità, con Moratti ce ne sono state altre”. Con il primo, spiega l’esponente di Fratelli d’Italia, “la nostra linea politico-amministrativa era molto chiara, facevamo le cose quasi in default”. Poi, “ogni tanto Albertini aveva bisogno di tirare fuori la famosa lettera di dimissioni perché c’era qualcuno tra i consiglieri che non interpretava bene il programma. La portava con sé e la sfoderava ogni qual volta era necessario”.

Un viaggio a ritroso, che non poteva non concludersi con il presente. Al pediatra Luca Bernardo, candidato del centrodestra a Milano, De Corato offre qualche consiglio: “Ricordare a Sala tre cose. Uno: il centrodestra a Milano ha dato tre depuratori. Inquinavamo il Lambro, il Po e l’Adriatico. Eravamo sotto multa dell’Unione Europea e il centrosinistra non aveva fatto niente. Due: abbiamo riqualificato e reso agibile la Scala, avevamo il ‘niet’ dei vigili che l’avevano sigillata. Gli demmo una nuova vita nei tempi e nei costi previsti E tre: ricordare che abbiamo fatto City Life e lo skylife di Porta Garibaldi. Facemmo realizzare il bosco verticale dove prima c’erano i circhi equestri e le giostre. Grattacieli che tutti possono vedere e fotografare. Per ricordarsi di Sala, i milanesi del futuro cosa dovranno vedere?”, conclude De Corato.

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